BY: Irene Barbruni
Si definisce un Attacco di Panico quell’insieme di sintomi (sia somatici che psichici) che accompagnano una paura intensa (non dovuta ad un reale pericolo). Tra i sintomi somatici abbiamo: palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea o sensazione di soffocamento, parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio), dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali. Invece, per quanto riguarda i sintomi psichici, troviamo la paura di perdere il controllo, di impazzire, di morire, il senso di irrealtà e la sensazione di estraneità e di distacco da se stessi. Questi sintomi appaiono all’improvviso, spesso durante attività abbastanza tranquille, e raggiungono maggiore intensità in un lasso di tempo piuttosto breve (circa 10 minuti).
Un episodio che può essere riconosciuto come attacco di panico non costituisce un Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) che presuppone l’emergere di più eventi. Siamo di fronte ad un disturbo di panico nel momento in cui si hanno più episodi di panico, preoccupazione persistente di avere altri attacchi, preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze, significativa alterazione del comportamento correlata in seguito all’attacco di panico. Inoltre, un attacco di panico si può presentare in concomitanza di agorafobia. In questo caso la diagnosi sarà quindi di disturbo di panico con agorafobia.
La paura sperimentata non ha una motivazione diretta come per esempio nella fobia e ciò che maggiormente getta il soggetto in uno stato di angoscia è l’imprevedibilità della comparsa dei sintomi che non hanno una diretta correlazione con un particolare avvenimento. Molte persone sviluppano un’ansia anticipatoria e cercano di evitare tutte quelle situazioni che sono state associate ad un episodio di attacco di panico. Questo conduce nei casi più gravi ad un isolamento progressivo dalla vita sociale e relazionale.
Il DAP è il disturbo in maggior crescita negli ultimo 30 anni e a partire degli anni 80 è stato aggiunto fra le patologia psichiche del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), mentre precedentemente era considerato una forma di ansia generalizzata.
Anche in questo caso come abbiamo già detto a proposito dell’ansia, questi fenomeni non vanno interpretati come malattie che provengono da chissà dove, come un visus, ma come la risposta esagerata e caricaturale di un disagio esistenziale. Vi sono cause che derivano dalla vita di relazione della persona che ne soffre. Ma per relazione non si intende solo la relazione interpersonale, ma anche la relazione intra-personale, vale a dire il rapporto che una persona ha con se stesso. Lì vi sono dimensioni che, se il soggetto non riesce a comprendere, lo portano a sentirsi vulnerabile, perché indecifrabile a se stesso. Spesso è proprio l’incapacità a conoscere i veri e autentici bisogni che porta al sintomo come caricatura dell’atto di rinnovamento, di liberazione. La patologia è quindi spesso un tentativo, sbagliato e grottesco, della ri-definizione di sé, di quel modo di essere non più corrispondente ai bisogni che dal profondo emergono.
Questo aspetto relativo al significato simbolico del sintomo, di un bisogno di rinnovamento e di rinascita, la troviamo nell’immagine del quadro “Liberazione”. La figura femminile che si trova come all’interno di un guscio/ragnatela e vive quel momento di morte/rinascita in cui un individuo sente la forte spinta a rompere l’involucro come una crisalide, da cui liberarsi, per intraprendere un volo nuovo. Ma al contempo questo sentimento di rinnovamento è impedito dalla paura a lasciare ciò che si è, di lasciare/superare la vecchia forma in cui il soggetto si era identificato. Questo scacco si manifesta con il disturbo dell’attacco di panico. Proprio in una cultura dove tutto sembra possibile e che tutto si possa piegare alla volontà di potenza del soggetto, la presa di coscienza di un impedimento porta ad una squalificazione di se stessi. Ma l’impedimento non è un fastidio inutile, è l’occasione per riflettere sul senso della propria trasformazione.