BY: Irene Barbruni
L’importanza delle favole nel mondo infantile
Il racconto della favola è sempre associato al mondo infantile. Perché si raccontano le favole? Qual è la loro funzione?
Sul tema della favola bisogna considerare da una parte il simbolismo, che si collega con gli aspetti evolutivi della personalità, dall’altra la struttura narrativa che disegna l’orizzonte entro il quale si muove lo sviluppo evolutivo. In generale, un buon racconto fiabesco dovrebbe contenere un equilibrato rapporto tra gli elementi simbolici associati a sentimenti ed emozioni negative (come per esempio la paura) e quelli legati a sentimenti positivi. Dobbiamo tenere conto di un fatto importante: quando leggiamo un racconto o vediamo un film si sviluppa un processo identificativo, cioè ci identifichiamo con il personaggio di quella storia. L’evolversi del protagonista nella vicenda ci guida verso l’evolversi di quelle emozioni che attraverso quel personaggio sperimentiamo dentro di noi. Quando questo processo conduce ad un superamento di certe paure ed inquietudini, parliamo di processo catartico: la finalità della favola è proprio questa. Infatti essa non nasce come puro intrattenimento, ma ha lo scopo di promuovere la vita interiore del soggetto che la percepisce. La favola ha un fondo di insegnamento morale/etico e aiuta a riordinare le inquietudini e le emozioni che disturbano l’animo del bambino. E’ chiaro allora che racconti nei quali si sviluppano emozioni negative, che nella vicenda non vengono risolte, possono condurre il soggetto a fissarsi su di esse. Le favole solitamente sono a lieto fine, proprio per imprimere nell’animo del bambino una visione di speranza nei confronti delle problematiche della vita. Quindi la favola appartiene all’insieme degli eventi educativi e formativi.
Nella cultura contemporanea il racconto solitamente raggiunge il bambino sotto la forma del cartone animato o del film, meno frequentemente sotto la forma della narrazione vocale. La parola “favola” deriva da affabulare, dar voce, “parlare”; quindi nasce proprio come una narrazione vocale. Raccontare le favole al bambino è un’esperienza di profonda relazione tra genitore e figlio in quanto, in quella situazione relazionale, non c’è solo il racconto in sé stesso, ma anche la presenza interessata del genitore che racconta con la sua voce: ed in fondo il più bel suono che possiamo ascoltare è la voce umana perché ci rassicura e ci tranquillizza. Non dimentichiamo che il bambino, quando si trovava nell’utero della madre, sentiva le vibrazioni di quella voce.
La favola, vista attraverso un film o un cartone animato, va valutata nell’insieme armonico espresso nel suo contenuto (come dicevamo prima, per l’equilibrio tra elementi emotivi positivi e negativi), ma anche per l’atmosfera che quel racconto riproduce e che guida il bambino a vivere certi stati d’animo. Va sottolineato che la nostra mente, come dice Hillman, è immaginale cioè funziona per immagini. Il racconto filmico ha un potere particolare e quindi è bene che il bambino non sia lasciato solo di fronte alle immagini che percepisce o, peggio, che sia esposto ad immagini cariche di inquietudini.
Detto questo, passiamo a sviluppare una riflessione su una favola in particolare. Prima parlavamo dell’equilibrio tra elementi positivi e negativi e l’epilogo a cui questo equilibrio porta. Per esempio in uno schema classico troviamo l’incontro con il drago, che rappresenta l’insieme delle paure dell’ignoto e dell’essere divorati. Il personaggio maschile uccide il drago, che simbolicamente rappresenta il saper trasformare l’elemento distruttivo in sé stesso. Quando invece la fanciulla bacia il drago e questo bacio lo trasforma, da una parte viene rappresentato il potere dell’amore e dall’altra suggerisce l’importanza di saper incontrare ciò che dentro di noi ci fa paura.
Pensiamo alla favola di Cenerentola, una tra le più belle favole mai scritte, capace di insegnare ancora molto oggi, perché in fondo rappresenta la storia di chi non si sente degno della regalità della vita, ma che ad un certo punto ritrova in sé stesso la magia di una fede in sé dimenticata. In fondo le sorellastre che la denigrano rappresentano quei pensieri auto denigratori (” io non sono capace” , “io non valgo”….) che sono proprio “sorellastri”, ossia non sono “fratelli, amici”. Però è vero anche che Cenerentola nel racconto si identifica con quella visione di sé, come spesso facciamo anche noi. Questo aspetto non va confuso con l’autocritica, che in sé non dovrebbe mai essere distruttiva in quanto ha lo scopo di promuovere un miglioramento.
Cenerentola riesce a trovare l’abito giusto, cioè il giusto rapporto con sé stessa: il vero significato di bellezza è proprio l’armonia del rapporto con sé stessi. A quel punto può incontrare il principe, ossia il principio di una vita nuova. Il principe azzurro (colore che ricordiamolo è simbolo del cielo) simboleggia il principio trascendente, cioè ciò che trascende tutte le parzialità, tutte le finitezze che incontriamo nella vita, e in cui spesso ci identifichiamo. Quindi Cenerentola non è una donna che viene emancipata dall’uomo, in quanto è lei che si è nobilitata e che di conseguenza viene riconosciuta dal principe. Le favole vanno interpretate non in modo concretistico ma in chiave simbolica.
L’accedere al linguaggio simbolico introduce il bambino ad una visione che trascende la percezione immediata che ne limita le capacità riflessive. Ecco che la favola diviene la palestra per lo sviluppo di un pensiero sempre più evoluto.