BY: Irene Barbruni
Hikikomori, che in giapponese significa isolarsi, è un termine che è stato scelto per definire una problematica che riguarda quei giovani che si ritirano socialmente. Inizialmente questo tipo di disagio è stato osservato a partire dagli anni Ottanta in Giappone, ma negli ultimi decenni sta interessando sempre più individui, anche nel nostro paese e in generale in tutti i paesi sviluppati. Si tratta di giovani, ma anche giovanissimi, che non studiano né lavorano e che si ritirano nella propria stanza annullando le interazioni sociali, spesso anche con la propria famiglia, in quanto dormono durante il giorno e stanno svegli nelle ore notturne. L’unico contatto con il mondo esterno lo hanno attraverso internet e i social network.
Le statistiche mostrano una netta prevalenza dei maschi, ma si presume che le ragazze siano in numero maggiore e che in molti casi non vengano segnalate, poiché culturalmente l’isolamento femminile assume una rilevanza minore soprattutto in determinati contesti culturali.
L’individuo inizialmente si auto reclude per evitare l’ambiente scolastico; spesso si evidenzia un fattore scatenante che non sempre appare evidente agli occhi dei genitori (un brutto voto, piuttosto che difficoltà con i compagni di classe o fenomeni di bullismo). Nella personalità del ragazzo si possono comunque osservare delle caratteristiche quali: difficoltà ad entrare in contatto con gli altri e angoscia della relazione. Questi disagi portano ad un eccesso di rinuncia e a declinare la propria vocazione relazionale (comunque presente in ogni essere umano), verso i mass media, i quali vengono percepiti mediatori, che quindi fungono da filtro protettivo nella relazione. Tutto questo porta ad un graduale peggioramento delle capacità di reggere e sopportare le frustrazioni che fanno parte delle esperienze quotidiane e delle relazioni interpersonali. Le relazioni che si instaurano davanti ad un computer hanno delle caratteristiche che portano ad un impoverimento delle capacità relazionali, poiché prive del contatto diretto e spontaneo con l’altro.
Spesso il disagio si manifesta con il rifiuto della scuola mostrando una grande sofferenza; accade solitamente nei primi anni delle superiori, ma anche già alle scuole medie. Il fattore scatenante può apparire agli occhi dei genitori, come abbiamo detto, un episodio innocuo, ma che in una personalità fragile diventa motivo che giustifica la resa e quindi l’abbandono scolastico ed infine l’auto-reclusione.
Diventa quindi fondamentale riconoscere i primi segnali di disagio; nel momento in cui il ragazzo comincia a saltare giorni di scuola e rinuncia a momenti di condivisione con i propri pari, come lo sport o altri momenti di incontro. Il confronto tra genitori ed insegnanti in questa fase è fondamentale, come chiedere consiglio ad un professionista per evitare che si arrivi ad uno stadio troppo critico che richiederebbe un intervento più lungo e difficile.
Attualmente la didattica a distanza e il divieto, per motivi sanitari, di frequentare in libertà luoghi sociali, rende più difficile la valutazione della gravità di alcune situazioni. In questo momento storico delicato diventa quindi ancora più importante osservare con attenzione i nostri figli. Il confronto con la realtà e le esperienze dirette con gli altri, fatte anche di momenti di sofferenza e frustrazioni, sono fondamentali per la crescita. La consapevolezza che nella vita sono le difficoltà che riusciamo a reggere a renderci più forti e non solo quelle che riusciamo a superare, è una riflessione che non deve mai mancare nel lavoro educativo. Ogni età prevede delle frustrazioni con cui l’individuo deve confrontarsi per la propria crescita. Queste ultime riflessioni possono essere spunto per la prevenzione di disagi che riguardano la sfera relazionale, ma certamente nel momento in cui si sospetta l’instaurarsi di un ritiro sociale è importante intervenire in modo tempestivo.
Il fenomeno non ha tuttavia solo motivazioni circoscritte alla sfera relazionale, ma investe proprio l’etica e la valorizzazione delle relazioni umane. L’attuale società sta sviluppando un’etica della relazione tutta piegata sul successo e sull’apparire, e ciò squalifica proprio la dimensione relazionale, la quale invece rappresenta il cuore dell’esperienza umana. Quindi promuovere una cultura della relazione, intesa come relazione di reciprocità, aiuta a contrastare la deriva autistica che osserviamo in quei giovani che si chiudono in se stessi e nella loro stanza.