BY: Irene Barbruni

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Cercheremo qui di descrivere la situazione esistenziale del bambino letta all’interno della dicotomia “dedizione e liberazione”: una dualità che, in diverse occasioni, diventa conflittuale. La parola “dedizione” si riferisce “all’azione del dedicarsi completamente e spontaneamente a una persona, a una cosa, a un ideale”; quindi alla tendenza che il bambino ha di essere dedito ai genitori, ossia a fare il loro piacere. La parola “liberazione” significa, invece, “rendere libero, non soggetto all’autorità o al dominio di altri”, e a livello psicologico rendere liberi riguarda principalmente rendere un individuo non soggetto alle proprie pulsioni. Il bambino non è libero in ciò che deve fare quando è preda delle proprie pulsioni, le quali, se non contenute, diventano delle abitudini di comportamento e le abitudini diventano dei vizi e, per usare un termine moderno, diventano delle dipendenze. Quindi, l’amore filiale si pone tra la dedizione, ossia il bambino che imita il genitore, e la liberazione, quindi lo sviluppo della sua autonomia ed indipendenza.

PROCESSO DI IDENTIFICAZIONE E PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE

Il processo di identificazione è quel processo psicologico che porta il bambino ad imitare i genitori; un’esperienza e un passaggio fondamentale affinché possa imparare a stare nella comunità in cui vive. Il pericolo insito in questo processo è che l’individuo, quando imita gli altri, non vive la propria autenticità. Nell’epoca moderna vediamo che questo aspetto identificativo è molto meno marcato che in passato. Quando il bambino dice “NO” è sotto la spinta del processo individuativo e quindi è mosso a fare le cose “di testa propria”. Oggi questo aspetto è molto sviluppato e ciò rende più difficile il rapporto educativo. Il processo di identificazione è maggiormente presente, nell’epoca contemporanea, quando il bambino è esposto all’influenza dei coetanei e dei mass media; possiamo dire che da questo punto di vista i mass media sono “più potenti” dei genitori. L’esposizione del bambino ai mass media lo espone alla spersonalizzazione. Il processo individuativo può essere recuperato se si instaura una buona relazione tra genitori e figli: ossia una relazione sempre meno assoggettata ai mediatori (tv, gioco ecc…). Questo fattore di mediazione deve essere sullo sfondo e non primario: due persone sono più autentiche quando non ci sono elementi di mediazione se non il linguaggio.

AUTONOMIA E LIBERTA’

E’ importante riflettere sui concetti di autonomia e libertà. Non è l’autonomia che scaturisce dalla libertà ma è la libertà che scaturisce dall’autonomia. Il che vuol dire che la libertà è una meta che si raggiunge in acquisizione di un’autonomia. La libertà è qualcosa che i genitori possono dare al bambino, ma non è una vera libertà. L’autonomia è qualcosa che il bambino deve costruirsi e l’educazione mira a far sì che il bambino acquisti autonomia.
Come si conquista l’autonomia? Si conquista per gradi. Alla base del processo di autonomia c’è la capacità di sapersi orientare e decidere: bisogna quindi abituare il bambino alle decisioni. Ci sono delle decisioni prioritarie che devono prendere i genitori e ci sono dei momenti in cui possono decidere i bambini. Per esempio, il bambino potrà decidere se mettere la maglia bianca o rossa, ma non può decidere se mettere quella di cotone o di lana.
L’immediatezza è uno degli atteggiamenti che non permettono l’autonomia. Il contrario dell’immediatezza è la mediazione. Se il bambino viene gratificato sempre non sarà mai autonomo; infatti è la capacità di mediare che lo renderà autosufficiente. Scopo dell’educazione è quello di far sì che i bambini imparino a mediare i propri impulsi perché l’individuo che non impara a mediare sviluppa una personalità che tende alla dipendenza.
I genitori devono stare attenti ai loro comportamenti perché i bambini assumono il loro modo d’essere. Tanto più i genitori entrano in rapporto con i loro figli fatto di regole, di fiducia e di stima tanto più il bambino sarà indotto a sviluppare queste qualità etiche del rapporto. Tenendo conto che il bambino è spinto oggi a cercare se stesso.

SOGNO: I BAMBINI ROBOT

Qui di seguito viene analizzato il sogno di una bambina di 9 anni.
La bimba si trova all’inizio delle scale che portano al cortile della scuola da lei frequentata. Arriva l’insegnante che però non è quella della realtà. E’ una persona seria e accigliata. La bambina ne ha paura e fugge a casa. Nel portone, in terra, trova una penna che sa essere magica. Sulle scale vi sono i bambini che compongono la classe di quella insegnante. Sono tutti diventati dei robot. La bimba allora corre in casa spaventata. Si rannicchia accanto al calorifero. Con la penna magica si tocca la testa. Essa comincia a sognare tutta la situazione che ha appena vissuto, pensando a come il sogno potrebbe finire. E nel sogno, essa pensa, tutti i bambini-robot tornano bambini.
L’inquietudine che diviene angoscia esprime la paura della perdita della Soggettività, e quindi la paura della massificazione, dell’alienazione dalla propria Singolarità. I bambini robot infatti sono il simbolo della macchina che sostituisce l’uomo, o più tragicamente, dell’uomo che diviene macchina attraverso la soppressione della propria umanità. E la macchina sta proprio per meccanismo: una serie di azione monotone che si ripetono all’infinito. Ed è proprio la realtà determinista del mondo fisico, l’impossibilità alla libertà espressiva che terrorizza la bambina nella sua esperienza scolastica. Essa ha quindi individuato intuitivamente un subdolo nemico: il processo di identificazione che entra in contrasto con l’aspetto individuativo.
La bimba fugge dalla scuola per tornare nella sua casa, là dove vi è la sua vita. La vita è sempre un fatto relazionale. Non riconoscerne l’aspetto relazionale è come non riconoscere la sua stessa fonte. Dapprima la bimba trova una penna magica. Fino a questo punto la sognatrice è tentata dall’isolarsi, dal nascondersi, dal cercare un rifugio dal pericolo. Ma subito il sogno la incalza: i bambini-robot sono lì, sono ormai giunti alla soglia della sua casa: la massificazione dilaga!
In questo punto del racconto onirico il tema non è più soltanto personale, esso si veste di connotati storici. La bimba non cerca conforto nei genitori, se pure cerca un calore, una rassicurazione che sembra aver smarrito (il calorifero). Con la penna magica essa si tocca e così diviene, o ri-diviene, capace di sognare, capace quindi di far appello ad una intelligenza superiore (quella che si riattiva quando sogniamo) che è espressione e creazione della dimensione più profonda di se stessa. E come per incanto i bambini-robot tornano ad essere bambini. Ecco che la conoscenza che trasforma il mondo scaturisce e nasce dall’esigenza di rispondere ad un quesito etico. E’ qui che si incontra l’umano per eccellenza.

CONCLUSIONI

Il bambino vive una sua intrinseca soggettività. Deve essere raggiunto al livello in cui si trova, non banalizzato. Se non il bambino rischia di identificarsi in quella banalizzazione. E’ necessario che il genitore dedichi del tempo al dialogo per non banalizzarlo.

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