BY: Renato Barbruni

Dolls
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DOLLS
di Takeschi Kitano
Interpreti: Miho Kanno, Hidetoshi Nishijima
Anno di produzione 2002
Genere: romantico surreale

La fede, l’affidarsi all’amore è il tema dominante di questo bel film. Lo stile surrealista e magico, ma semplice, si sviluppa sulla trama di alcune vicende legate al tema dell’amore. I due innamorati, dalla sguardo rapito che camminano verso un punto ignoto legati da una corda rossa,rappresentano molto bene il legame misterioso dell’amore che unisce i due e li spinge come marionette lungo la via dell’esperienza di Amore. Tra l’altro il film inizia propria con le marionette della cultura giapponese.
E’ ancora l’Amore che agisce dentro le persone e le muove verso la propria realizzazione: la donna che attende per anni su una panchina il suo amato ogni sabato, mentre il suo amato, che l’aveva abbandonata, senza di lei – senza la sua anima – si è perduto nei mille rivoli del mondo diventando un assassino. Oggi l’uomo, potente e ricco, scorge dentro di sé una frattura, un vuoto incolmabile, e spinto da un cieco e irrazionale desiderio (quindi non motivato agli occhi della coscienza), va in quel parco, a vedere quella panchina dove anni prima aveva lasciato la donna-anima della sua vita, e lì, miracolo, la ritrova così come l’aveva lasciata.
Ancora Amore guida il giovane innamorato della cantate ricca e famosa, e quando lei subisce un incidente e perde la sua bellezza, e si nasconde al mondo, lui si fa cieco per poterla incontrare adattandosi alla volontà di lei di non esser guardata.
Il mistero dell’amore come guida della vita è ben raffigurato in questo film per certi versi inquietante (poiché ciò che ci inquieta è proprio la consapevolezza di non riuscire a controllare la realtà) dal finale misterioso ma stupendo: i due innamorati legati dal filo rosso dell’amore sono sospesi sul mondo illuminato da un sole nascente: l’alba dell’era di Amore.

BY: Renato Barbruni

Il velo dipinto
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IL VELO DIPINTO
di John Curran
Interpreti: Naomi Watts, Edward Norton, Liev Schreiber, Diana Rigg, Toby Jones, Shihan Cheng
Anno di produzione 2006, durata 125′
Genere: drammatico

Un giovane medico si innamora di una giovane dal carattere intraprendente. Lei non lo ama ma deciderà di sposarlo per uscire dalla sua famiglia, sentendosi ormai di peso, e per adempiere ai desideri del padre e della madre nel volerla vedere sposata. Siamo nell’Inghilterra del 1920. Una storia quasi banale nel suo esordio. Quante donne si sono sposate per emanciparsi, per essere libere dalla propria famiglia; quante donne hanno ritenuto che il matrimonio fosse la navicella che le avrebbe portate nella terra promessa. Le donne hanno sempre creduto nel matrimonio, come oggi credono nella relazione con un uomo. Salvo poi disilludersi nel naufragio verso la banalità della vita quotidiana, dove esse vengono spinte verso un ruolo materna, di servizio al proprio uomo. Il sogno di creare la “relazione” svanisce quando il sole della realtà maschile, ancora caldo ma assolutamente monotematico, illumina solo le cose più visibili, lasciando in ombra le realtà più sottili, vale a dire, i sentimenti più profondi che albergano nell’anima millenaria della speranza femminile.
La trama del film si snoda seguendo l’idealità dell’uomo. Il marito è un batteriologo, e la sua ricerca lo porta in Cina per lo studio delle malattie infettive. Lei, annoiata da quella vita ma soprattutto non innamorata del marito, cede alla lusinghe di un rapporto con un uomo che ai suoi occhi appare affascinante e finalmente in sintonia con il suo sentire. Si rivelerà l’ennesima delusione. Il marito scopre la relazione, e parte per l’interno della Cina a debellare una epidemia di colora: la moglie è costretta a seguirlo. E sarà proprio lì che, in quella estrema landa della vita, dove la morte, presenza quotidiana, diviene il metro attraverso cui misurare la dimensione del proprio spirito, lei, ma anche lui, ritrovano il sogno di un amore sconosciuto e misterioso. Una nuova dimensione dell’anima si dispiega alla loro coscienza; attraverso di essa vedono finalmente chi realmente essi sono. Allora non fu un errore il loro incontro, l’amore li aveva posti uno di fronte all’altro a dispetto della coscienza che per lei, dettava lusinghe di immagini maschili fuorvianti, e per lui l’immagine di una donna che non trovava più nella sua sposa. E qui incontriamo il senso del titolo: Il velo dipinto: c’è un velo tra la coscienza e la realtà, un velo su cui sono dipinte le nostre illusioni che ci ingannano mostrandoci mete fuorvianti.

BY: Irene Barbruni

Insomnia
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INSOMNIA
di Christopher Nolan
Interpreti: Al Pacino, Robin Williams, Hilary Swank, Nicky Katt, MauraTierney.
Anno di produzione 2002, durata 118′
Genere: Thriller

Film trillher, ma come spesso accade nel cinema americano questo genere è lo scenario adatto per un viaggio nella zona d’ombra della nostra anima. In questo caso il protagonista, il tenente Dormer (Al Pacino), si imbatte nell’oscuro personaggio che da sempre alberga nella sua anima, il criminale che con lui vorrebbe stipulare un accordo: subdolamente insinua nella coscienza di Dormer l’idea che infondo loro due sono uguali. Dormer aveva causato la morte di in collega che stava per testimoniare circa i modi illegali da lui usati in varie indagini. Si verrà a sapere che un caso, in particolare, agita le notti e i sogni di Dormer: l’arresto di un pedofilo per il quale si avevano prove schiaccianti, ma il poliziotto, forzando le prove, aveva messo del sangue della vittima nella casa dell’indagato, facendolo condannare senza alcun dubbio legale. Il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il legale e l’illecito si mescolano creando una alchimia pericolosa. Solo pochi riescono a decifrare così bene le regole celesti da rimanere incontaminati dalla contiguità con il male. Questa promiscuità, tra legalità e illegalità, provoca alla lunga, nella coscienza del tenente, il sospetto della propria immoralità, giungendo a ritenere che forse non è stato un incidente a causare la morte del collega, che forse è proprio lui ad averlo ucciso. Il dialogo quindi tra Dormer e l’assassino, che sta braccando (R. Williams), è la drammatica resa dei conti con se stesso. Dormer ha perso il senso della sua innocenza, e della sua purezza d’animo, e dalla continua mescolanza col crimine si sente contagiato dai lati oscuri della sua personalità. Lo scenario in cui si svolge la vicenda non è casuale. Siamo in Alasca, in un eterno giorno, dove il sole non cala mai. Il solo è proprio la coscienza solo razionale inadeguata a dar ragione al senso della vita, ma implacabile con i suoi giudizi basati sul dubbio, che quando diviene unica prassi del pensare, agisce per distruggere ogni intuizione autentica di verità.
Il film giallo americano tocca alle volte vette molto elevate, dove la metafora della storia è squisitamente sviluppata dalla bravura di attori dalla interpretazione complessa, come in questo caso. Tutto questo fa di quel genere una vera opera d’arte.

BY: Renato Barbruni

La casa sul lago del tempo
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The lake house di Alejandro Agresti
Interpreti: Keanu Reeves, Sandra Bullock, Dylan Walsh, Shohreh Aghdashloo, Christopher Plummer, Lynn Collins, Mike Bacarella
Anno di produzione 2005, durata 105′
Genere: Drammatico

Il tempo, l’attesa: l’amore ne ha necessità vitale. E’ questo il tema del film. Una commedia sentimentale dalle tinte tenui, modesta, con qualche attimo suggestivo, ma nel complesso gradevole e anche profonda.
Senza la capacità di attendere l’amore può morire. Il protagonista maschile muore per troppa brama di arrivare. Ma lei lo salverà portando il tempo sulla giusta sincronia. Le due anime hanno percorsi diversi con temporalità diversa; se sapranno aspettare il momento giusto, quando saranno giunte all’unisono, il tempo sarà compiuto e l’amore potrà vivere. In un’epoca tutta spesa nella frenesia di fare esperienza e quindi bruciarla, il film tocco un argomento molto taciuto, l’importanza di rispettare la dimensione del tempo, un tempo che non è oggettivo, il tempo degli orologi uguale per tutto. Questo è Crono il dio del tempo che si mangia i figli. Il tempo di cui in questo storia si parla è Aion, il tempo degli dei, il tempo in cui vivono gli dei; non quindi il tempo che agisce sottraendo sostanza all’esistenza, ma il tempo che genera l’esistenza, da cui si genera il mistero dell’esistere, un esistere che trova il suo lessico essenziale nell’accadimento, nella generazione del mondo. I due protagonisti quando riescono a mettersi in sintonia su quel tempo, avranno la vita eterna, la comunione dell’amore e sconfiggeranno la morte.

BY: Renato Barbruni

Breve incontro: l’inquietudine di un amore impossibile
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BREVE INCONTRO: l’inquietudine di un amore impossibile
Brief Encounter di David Lean
Interpreti: Celia Johnson, Trevor Howard, Cyril Raymond, Stanley Holloway
Anno di produzione 1945, durata 86′
Genere: Sentimentale

Il film racconta la storia di una relazione extraconiugale tra Laura, sposata con due figli, e Alec anch’egli sposato con figli. Il travaglio di un amore sbocciato alla stazione dei treni è vissuto in mezzo a sensi di colpa e turbamenti. Il film è reso molte bello dalla musica del concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di S. Rachmaninov, e dalla sublime regia di David Lean.

Dialogo da “Breve incontro”

Lui- “Amore ti ho cercato dappertutto”
Lei- “Ti prego lasciami.”
Lui- “Non poso lasciarti così”
Lei – “Vattene, ti prego”
Lui – “Non essere ingiusta, è per puro caso che è tornato prima, non sa che tu sia” (L’amico di lui che aveva prestato l’appartamento del loro incontro).
Lei – “Avrete parlato di me.”
Lui – ” Non abbiamo parlato di te, ma di una creature senza nome e irreale:”
Lei – “E perché non glia hai detto chi ero, che siamo vili, e volgari …”
Lui – ” Ma niente affatto. Noi siamo certi di amarci, questo e vero, è solo questo che conta …”
Lei – ” Non è vero, non c’è solo questo, c’è anche dell’altro … rispettare se stessi … così non posso più continuare…”
Lui – ” Potresti davvero dirmi addio e non rivedermi più?”
Lei – ” Si, se tu mi aiuti.”
Lui – ” Io t’amo Laura, e ti amerò sempre, finché avrò vita, non poso guardarti, non ne ho la forza, so che questa è la fine, non del mio amore per te, ma della nostra avventura; ma non subito, amore, ti prego, non ora. So quel che hai sentito stasera, il senso di sordido che provi. Mi manca lo sforzo di vivere separati l’uno dall’altra, e poi il senso della colpa provato per il dolere inflitto agli altri , un prezzo troppo alto per la felicità intravveduta.”

Un amore sofferto tra un uomo e una donna, sposati entrambi che vivono su di loro il dolore che infliggono ai rispettivi coniugi. Spesso l’amore si trova imbrigliato dentro situazioni conflittuali: la felicità propria e il dolore recato agli altri. Sembra un paradosso, poiché chi ama non può essere capace di portare dolore, mentre nella realtà della vita accada anche questo. Il film da cui è tratto questo dialogo “Breve incontro” è del 1945. I due personaggi sono collocati all’interno di una cultura dove la separazione e il divorzio, pur essendo legali (il film si svolge in Inghilterra), sono comunque percepiti in modi sinistro. Oggi le cose sono diverse, le persone si separano, si lasciano con meno senso di colpa; la cultura è cambiata, ma ciò che non è cambiato consiste nel dolore che accompagna le persone che si lasciano: soffre chi è lasciato e soffre che lascia. Il senso di colpa nasce dal dolore che una persona infligge all’altra andandosene. Spesso accade che le persone permangano nella relazione per molto tempo senza trovare il coraggio di rompere il legame. Ciò è dovuto a tanti motivi non escluso il profondo rincrescimento di recare dolore. L’amore passa così attraverso la purificazione della sofferenza. Quel tempo trascorso a cercare di proteggere la persona che si lascia non è un tempo sprecato, ma un modo di completare un percorso d’amore e di evoluzione personale che porta a compiere l’atto doloroso nell’umiltà. Tutto allora potrà essere completo, concluso. Infondo le persone cercano di esser in pace con se stesse.

Questo dialogo tocca un’altro aspetto. Laura, in seguito all’improvvisa venuta dell’amico di Alec si sente sporca: quell’incontro, in quell’appartamento, che sarebbe sfociato nell’intimità, la fa sentire volgare. E qui c’è uno degli equivoci che subdolamente si intrufolano nelle relazioni. La tensione erotica sembra divenire l’unica realtà causale dell’incontro. Spesso sono gli uomini che si lasciano intrappolare dalla visione per la quale la sessualità sia il movente di ogni incontro di due persone. Questo è un problema culturale. In ciò consiste il vero pericolo della relazione, poiché lentamente ma inesorabilmente la squalifica. I due smettono di cercare l’incontro di anima, per uniformarsi all’ideologia dominate per cui, infondo l’amore è una unione di corpi. Vi sono desideri che si fermano al puro piacere fisico, ma quando subentra l’amore sono le anima che si cercano attraverso il corpo. Spesso l’incapacità di affrontare ciò che l’amore pone come questione fondamentale, quella di mutare la propria vita, sfocia in una caduta etica della relazione, la quale viene schiacciata sulla sola dimensione sessuale.

BY: Irene Barbruni

Essere gentili per vivere meglio
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Diversi studi hanno dimostrato che la gentilezza ha un effetto sulla qualità della vita delle persone; essere gentili ci rende meno stressati e addirittura più longevi.
In particolare uno studio realizzato da due psicologhe sociali, Jennifer L. Trew e Lynn E. Alden, ha dimostrato che i comportamenti generosi alleviano l’ansia in particolar modo quella sociale definita anche “fobia sociale” (la paura intensa e pervasiva legata ai contesti sociali). Infatti il gruppo di persone che hanno aumentato le azioni gentili nei confronti di amici e parenti hanno avuto un beneficio sulla propria ansia e di conseguenza la loro vita sociale è migliorata.

Ma se tutto si riduce ad un atto esteriore la cosa non può dare esiti favorevoli. Solo se la gentilezza è emanazione di una visione della vita più serena, attraverso cui si è capaci di accettare le diverse difficoltà che incontriamo, allora ciò può aiutare a vivere meglio. La ricerca delle due studiose citate, non mette in evidenza questa differenza, quindi è bene specificarlo. In molte ricerche la psicologia tende ad osservare il visibile, cioè il comportamento, e a trascurare la valutazione dell’invisibile, cioè i vissuti profondi che animano il comportamento.

La vera ricetta per vivere meglio non è tanto essere gentili, come atto esteriore, ma trovare la capacità di vedere con gentilezza la realtà che ci circonda, diventare più saggi, capaci di accettare e trasformare le varie situazioni in occasioni autentiche per la propria evoluzione personale ed interpersonale. Ma solo se siamo capaci di conoscere il nostro mondo interiore ciò diviene possibile. “Conosci te stesso” ammoniva Socrate. Cominciare quindi da se stessi, dal conoscersi e dal modificare ciò che ci porta alla contrapposizione con gli altri, dalla quale sviluppiamo una visione persecutoria. Poiché abbiamo bisogno di essere rispettati, ma anche di rispettare, così come abbiamo necessità di essere trattati in modo giusto e a nostra volta di trattare gli altri in modo giusto: in altri termini l’esercizio delle capacità etiche contribuisce a farci stare bene perché sentiamo di aver fatto le cose che si accordano alla nostra profonda esigenza di contribuire a costruire un mondo più giusto. Alla fine l’essere umano è una creatura etica, cioè sente il bisogno di fare il bene e di riceverlo: ciò è la fonte del ben-essere.

BY: Irene Barbruni

Il rapporto con gli animali
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Il rapporto tra uomo e animale ha origini molto antiche. Mentre in passato esso era nella maggior parte dei casi legato soprattutto da una utilità del rapporto (come aiuto nel lavoro agricolo o come risorsa alimentare) oggi esso è legato, per lo meno nella vita cittadina, principalmente da valore affettivo-relazionale. Si stima che in Italia siano almeno 60 milioni gli animali domestici: i più numerosi sono pesci ed uccellini, cani, gatti e altri piccoli animali come i roditori. A partire dagli anni sessanta molti sono gli studi che hanno riguardato gli effetti sull’uomo del contatto con l’animale. Nello specifico è stato confermato che nei soggetti con difficoltà di relazione, attraverso il contatto con un animale, veniva migliorata la propria apertura verso gli altri. Da questi studi è poi nata la pet-terapy, ossia l’utilizzo dell’animale nell’assistenza di persone con diverse difficoltà.
Quindi il contatto con l’animale ha un beneficio per la salute fisica e psicologica.

Riflettendo sulla vita quotidiana nelle città, il bisogno di avere un animale vicino soddisfa la necessità che l’uomo ha del contatto con la natura. In un ambiente cittadino, in cui vi sono poche aree verdi, emerge forte l’esigenza di contatto con la natura, quindi questo viene compensato dall’avere piante e animali in casa.

Attraverso il rapporto con l’animale, nel rispetto delle sue caratteristiche, si impara ad entrare in rapporto con il principio di realtà, ossia con la logica naturale della vita. Spesso il malessere psicologico può nascere proprio dall’incapacità di accettare i dettami della vita. Gli animali invece hanno una grande capacità di adattarsi. Quindi, attraverso una non manipolazione sull’animale possiamo avere quel contatto con la vita così importante per il nostro benessere. Ci sono animali che sono da millenni con l’uomo e che sono quindi abituati a tale rapporto (come ad esempio cani e gatti) e altri meno.

Importante è considerare le esigenze per cui una persona si avvicina all’animale, a volte oltre al bisogno di contatto con la natura, di cui abbiamo parlato, esiste anche il bisogno di scambio affettivo. In alcuni casi essi colmano un vuoto di rapporto. Il cane per esempio è paziente, ha un affetto incondizionato per il padrone cioè egli non considera lo status sociale, entra in rapporto affettivo al di là di tutto e questo è terapeutico di per sé.

Il legame con l’animale, quindi, ci fornisce quel contatto con la natura di cui, soprattutto in un’architettura cittadina fatta di cemento e macchine, abbiamo profondamente bisogno.

BY: Irene Barbruni

Le proto-emozioni o emozioni primarie
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L’emozione è la risonanza immediata ad un evento; tende ad esprimersi attraverso un atto in quanto è istintiva e primordiale. Spesso nella cultura contemporanea si tende a confondere le emozioni con i sentimenti. Anche se spesso utilizziamo lo stesso aggettivo per definire sia un’emozione che un sentimento, in realtà sono due fenomeni molto differenti. Nello specifico possiamo distinguere tre diversi gradi di emozioni (Arieti): le protoemozioni (tensione, appetito, paura, rabbia e soddisfazione), le emozioni di secondo grado (ansia, collera, desiderio, sicurezza) e quelle di terzo grado (tristezza, amore, odio e gioia) che possiamo definire sentimenti.

Le protoemozioni sono fondamentali per la sopravvivenza in quanto sono forze motivazionali fondamentali e anche se non vengono sperimentate esclusivamente a livello somatico (come le sensazioni per esempio di fame e di sete), in esse è presente la componente corporea rilevabile da una serie di cambiamenti che coinvolgono tutto il corpo o comunque la maggior parte di esso. La componente cognitiva è minima per quanto riguarda le proto emozioni, ma diventa più importante nelle emozioni di secondo grado e terzo grado. E’ proprio nel momento in cui entra in gioco l’aspetto cognitivo e l’aspetto delle immagini simboliche che possiamo parlare di sentimenti. Possiamo definire il sentimento quella risonanza affettiva e complessa che accompagna gli stati d’animo di una persona in relazione agli eventi esterni ed interni. E’ sempre importante ricordare che tutti noi nasciamo nel grembo materno e quindi dentro la relazione con una madre; quindi l’essere umano, avendo origine da una relazione, deve sempre essere immerso in un mondo relazionale.

Ciò che differenzia il sentimento dalle emozioni è quindi la complessità; i sentimenti sono composti si dall’aspetto emotivo, ma anche influenzati dalle idee, dai ricordi e dagli stati d’animo soggettivi. Mentre l’emozione è una risonanza immediata ad un evento, il sentimento trascende la relazione soggetto-oggetto ed è suscitato dal modo attraverso cui la soggettività vive la relazione/situazione che si instaura tra lui e il suo mondo.

Di per sé le emozioni sono neutre, ossia non sono né positive né negative, ma l’evoluzione che può avere un’emozione, a seconda di come viene gestita dal soggetto, può sviluppare un risvolto positivo o negativo: ossia verso l’evoluzione o la regressione della personalità. Facciamo un esempio: la rabbia. Essa è indispensabile perché permette la difesa dell’individuo, consente di dire di no e di proteggersi da ciò che può essere nocivo. La rabbia ha la caratteristica di disgregare l’interezza della psiche e quindi ostacola la riflessione e le capacità sintetiche in generale. Chi vive l’emozione della rabbia è incapace in quel momento di staccarsi dalla situazione. Ecco quindi perché è errato abituarsi a sfogare la rabbia, è invece importante imparare a contenerla. Chi si abitua a sfogare non allena le capacità di contenimento le quali permettono la riflessione, attitudine fondamentale al fine di un’evoluzione positiva della rabbia (come di tulle le altre emozioni). Quando la rabbia è contenuta e portata su un piano superiore evolve in determinazione e nella capacità di decidere. Invece, nell’evoluzione negativa avremo la manifestazione di aggressività introvertita (depressione, forme di distruttività autolesiva) e aggressività estrovertita (atteggiamenti distruttivi a volte mascherati).

Quando pensiamo invece al sentimento della rabbia, meglio definito da altri aggettivi come per esempio collera, diventa fondamentale l’idea che è celata dietro tale vissuto. Nella vita di una persona è chiaro che le emozioni di vario livello si intrecciano e non sono mai così chiaramente distinte come nell’elenco che è stato riportato sopra. Nella quotidianità è importante imparare a non essere totalmente preda delle proprie emozioni e cercare di riconoscerle e contenerle per facilitarne l’”evoluzione positiva”, a cui abbiamo accennato. In generale possiamo dire che l’aspetto riflessivo, il quale ci consente di conoscere le idee e le immagini che sottendono i sentimenti, ci stimola a conoscere meglio noi stessi per trovare il giusto equilibrio tra le varie esperienze della nostra vita.

BY: Irene Barbruni

Le vacanze e il viaggio
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BY: Irene Barbruni

Perché sogniamo
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Durante il sonno il corpo si riposa interrompendo il movimento mentre il cervello, durante alcune fasi chiamate R.E.M. (Rapid eye movement), torna ad essere attivo proprio come nello stato di veglia; è in questa fase, caratterizzata da un movimento rapido degli occhi, che si sogna.
Dalle numerose ricerche della neurofisiologia sappiamo che sognare è necessario. Infatti, si è visto che alcuni volontari, svegliati non appena iniziava in loro la fase in cui si sogna più intensamente, tendevano successivamente a compensare sognando di più. Altri ricercatori hanno messo a confronto due gruppi di persone: uno veniva svegliato prima di poter sognare, mentre l’altro dopo aver sognato. Nonostante il numero di ore di sonno fossero uguale le persone che non avevano sognato tendevano a sviluppare uno stato di malessere psicologico fino ad arrivare a forme depressive.

Il motivo e lo scopo del sogno è ancora oggetto di studio. Secondo alcuni ricercatori, come il Jonathan Winson, il sogno risulta essere un processo di memoria fondamentale per i mammiferi. Infatti gli studi che hanno riguardato il ritmo theta hanno visto che esso è presente durante la fase REM così come nei momenti di particolare importanza per la sopravvivenza di alcuni animali, come per esempio l’esplorazione nel ratto e il comportamento predatorio nel gatto. Nel corso del sonno REM vengono integrate le informazioni recenti con le esperienze passate per fornire una strategia di comportamento in continua evoluzione. Questo aspetto spiegherebbe anche perché nei neonati la durata del sonno REM è di 8 ore al giorno, mentre all’età di tre anni si riduce a tre ore al giorno. È come se avessero bisogno di elaborare, ed integrare, quante più informazioni possibili relative al comportamento umano.

Fin dall’antichità veniva dato al sogno una particolare importanza e antiche popolazioni hanno cercato di interpretare i simboli onirici attribuendo un valore predittivo ai sogni (come gli egizi, i Romani, Greci e come nel Vecchio Testamento Giuseppe, figlio di Giacobbe, che interpreta i sogni alla corte del faraone). Sigmund Freud considerava i sogni materiale fondamentale per l’indagine della psiche; nello specifico pensava che il linguaggio simbolico del sogno fosse il modo con cui l’inconscio cerca di comunicare alla coscienza i desideri e impulsi rimossi.

Jung, diversamente da Freud, fornisce ai sogni un funzione che va oltre la semplice espressione di desideri o paure inconsce. Infatti i simboli che emergono nei sogni sono il risultato di un dialogo tra la coscienza e l’inconscio. Il simbolo (la parola deriva dal greco simballo che significa mettere insieme) è il risultato, non solo del dialogo con i contenuti personali, ma anche con i contenuti più primitivi (quelli che Jung chiama archetipi). In altre parole, la coscienza propone il tema del sogno, l’inconscio lo svolge legandolo alla conoscenza storica presente nella psiche. Questa visione della funzione del sogno è stata confermata dallo studio di J.Winson citato precedentemente. Nel sogno si risveglia un’intelligenza superiore. Ci sono degli artisti per esempio che dicono che hanno sognato le loro opere.

Nell’epoca contemporanea le ore di sonno e la qualità del sonno, stanno gradualmente diminuendo. Sempre più adulti e ragazzi stanno riducendo il tempo dedicato al riposo notturno e forse si è persa in parte la consapevolezza dell’importanza di tale momento. Per la nostra salute psico-fisica, invece, il sonno è fondamentale. Per sintetizzare possiamo dire che il sogno, in particolare, è un racconto su noi stessi di cui noi abbiamo bisogno, perché dentro la narrazione c’è quell’armonia a cui noi aneliamo. Infatti i racconti e i miti sono stati nella storia dell’uomo i primi strumenti di conoscenza prima ancora della filosofia, anzi hanno ispirato le varie filosofie. Forse oggi si dovrebbe porre maggiore importanza alle immagini interiori del sogno, sminuendo invece altre fonti più “artificiali” di immagini. Perché le immagine che provengono dal mondo di fuori devo potersi integrare con le immagine che custodiamo nel nostro profondo.

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