BY: Irene Barbruni
Dark water (nuova recenzione)
Dark water
di W. Salles (USA, 2005)
Un film di Walter Salles. Con Jennifer Connelly, Ariel Gade, John C. Reilly, Tim Roth, Dougray Scott, Pete Postlethwaite, Shelley Duvall, Jennifer Baxter, Linda Emond. Genere Horror, colore, 105 minuti. Produzione USA 2005.
Note: remake del film giapponese “Acqua scura” diretto nel 2002 da Hideo Nakata
Tutto il film si svolge in ambienti grigi e tetri come grigio e tetro è il mondo interno della protagonista, una madre preda delle sue paure e delle sue insicurezze. Dahlia Williams porta dentro di sé il ricordo di una madre terrificante incapace di prendersi cura di lei e che addirittura si dimentica della sua bambina. All’inizio della storia Dahlia ha appena divorziato e non agevola le pratiche per l’affidamento congiunto, anzi cerca una casa lontano dal marito, un marito che le ricorda che non può essere in grado di occuparsi da sola della figlia Ceci, una bambina intelligente con spiccate capacità intuitive, qualità che possedeva anche Dahlia quando cercava di consolare la mamma alcolizzata. L’incubo peggiore di Dahlia è di essere come la madre e non essere in grado di occuparsi di Ceci.
L’incertezza in cui è messo lo stesso spettatore ci fa’ comprendere la confusione, la paura e la paranoia che caratterizzano questo personaggio. Infatti è difficile afferrare cosa è reale e cosa non lo è; è difficile capire quali siano le ragioni della rottura del matrimonio e se ciò di cui è convinta Dahlia sia vero. Tra le righe dei dialoghi tra i due coniugi sembra che le accuse della moglie nei riguardi del marito, che è secondo lei un padre non presente e che le ha abbandonate per un’altra donna, non siano reali. La proiezioni dei suoi fantasmi sulla figura del marito è più evidente verso la fine del film quando Dahlia è convinta che sia il marito a provocare gli allagamenti per spaventarla e farla apparire una persona squilibrata.
Mentre all’inizio Alice vive una genitorialità distaccata e mediata da altre figure, tipiche di una famiglia benestante, alla fine della storia riscopre finalmente un modo di essere madre più consona alla sua personalità. Infatti, anche nel piccolo appartamento in cui decide di vivere con i suoi figli è più vicina a loro.
L’acqua scura del titolo è l’acqua che penetra dal soffitto e tormenta Dahlia. L’acqua è il simbolo più ricorrente dell’inconscio, come dice Jung: “Chi guarda nello specchio dell’acqua vede per prima cosa, la propria immagine” (Gli archetipi e l’inconscio collettivo, 1976 Bollati Boringhieri, p.19). Sullo specchio è riflesso ciò che siamo, ciò che sta dietro la maschera che mostriamo agli altri e spesso anche a noi stessi. Dahila affronta una grande prova di coraggio e attraverso questo incontro con le acque scure affronta simbolicamente i fantasmi della propria vita interiore.
La tipologia di conoscenza è prima ingenua e mediata dalla visione della figura di riferimento che è il marito, ma in un secondo tempo la protagonista ritrova un’autentica e personale conoscenza delle cose. Anche l’aspetto spirituale, che è prima tradito e poi ritrovato, consiste nel dedicarsi ad una vita più autentica e dedita agli altri.
Il mistero che sta dietro ai fenomeni di acqua scura che penetra dalle vecchie tubature è poi svelato. Nel palazzo vive il fantasma di una bambina che è stata dimenticata dai genitori ed è morta annegata (il passato di Dalhia che diventa presente, un presente in cui lei non è più la bambina ma la madre). Dahlia andrà in fondo alle acque scure e riporterà a galla la verità. Ceci fin dall’inizio comunica con questa bimba ossia comunica con la parte più profonda dell’inconscio della madre.
Dahlia alla fine recupererà il rapporto con se stessa e con il marito abbandonando le paranoie che la discostavano dalla realtà. Sta per separarsi da quel palazzo vecchio e decadente, ma prima ha un’ultima prova da affrontare. Per frenare la furia omicida della bambina che si scaglia contro la figlia perché vuole l’affetto che le è stato negato, Dahlia sceglierà di rimanere con la bimba abbandonata. Sceglie quindi di accogliere finalmente dentro di sé quella bimba ferita ed essere una madre presente che genera vita; salva Ceci diventando una persona che ha avuto il coraggio di affrontare i suoi fantasmi interiori e superarli.
“Le acque nere della morte sono acque di vita, la morte con il suo freddo amplesso è il grembo materno, come il mare che pur inghiottendo il sole, lo ridà alla luce traendolo dal suo grembo materno. La vita non conosce morte…”,
(Simboli della trasformazione, Jung, Bollati Boringhieri1970, p. 219).
BY: Irene Barbruni
Lady Oscar
Tratto dal fumetto “Versailles no Bara” di Riyoko Ikeda
Produttori: Seiichi Gin’ya, Shunzo Kato
Sceneggiatura: Yoshimi Shinozaki, Masahiro Yamada, Keiko Sugie
Regia: Tadao Nagahama, sostituito da Osamu Dezaki dal 19° episodio
Animazione: Shingo Araki, Michi Himeno
Art Director: Ken Kawai, Tadao Kubota
Fotografia: Hirokata Takahashi, Masao Miyauchi
Musiche: Koji Magaino
Note: La serie animata è composta da 41 episodi (l’ultimo dei quali, inedito in Italia, è un riassunto in breve della storia) ed è stata realizzata nel 1979.
OSCAR FRANCOIS DE JARJIAYES
Oscar François de Jarjayes nasce a Parigi il 25 dicembre del 1755. Il padre, il generale Jarjiayes, desidera un maschio affinché possa seguire le sue orme ed intraprendere la carriera militare; lo desidera a tal punto che la notte in cui nasce la sua ultima figlia decide di chiamare la bimba Oscar ed educarla come fosse un uomo.
Oscar per i primi anni della sua vita pensa realmente di essere un maschio; quando diventa adolescente scopre di essere diversa dal suo compagno di giochi Andrè ed è qui che comincia la sua “ribellione” al mondo che suo padre le ha preconfezionato. Rifiuta di seguire gli ordini del genitore, che le impone di diventare Capitano delle Guardie Reali, perché “non vuole proteggere una donna” (lo dice quasi con disprezzo). Ma il suo carattere forte e ribelle la porta nel bosco (il suo inconscio) per fare i conti con il suo deimon, termine con cui Hilmann (“Il codice dell’anima”) chiama la vocazione, il destino che ci porta a quell’unicità che in ognuno di noi è presente e vuole venir fuori nel corso della vita. Infatti non vorrebbe fare il duello ma, provocata dall’uomo, Girodelle, combatte e vince. Inizia così il suo percorso verso l’individuazione, Oscar vive come un uomo ma diventa una donna capace di amare, ricca di ideali, di aspirazioni, una combattente che cresce con la sofferenza e attraverso di essa comprende se stessa.
Il deimon la conduce da Maria Antonietta, una giovane donna con cui instaurerà un legame di amicizia molto forte. La Regina di Francia rappresenta un lato di Lady Oscar che non ha mai potuto far emergere dietro la divisa militare: la frivolezza, la spensieratezza, una bellezza pura e spontanea. Un aspetto di se stessa che Oscar riscopre quando si innamora del Conte di Fersen. La sera del ballo, in cui si veste da donna celando a tutti la sua identità (come per proteggere quel lato tanto bello quanto fragile), fa emergere quel femminile di pura bellezza e spontaneità ma anche di fragilità. L’uomo non ricambia il suo amore essendo innamorato della Regina, ma la vede solo come “un amico”; un amore impossibile ma ugualmente vissuto intensamente. Oscar continua ad amare profondamente questi due giovani: soffre per Fersen e per la “sua “ Regina perché il loro amore porta loro solo sofferenze.
Oscar è una donna che patisce, vive le proprie inquietudini e continua il suo percorso verso se stessa senza incappare in sentimenti quali gelosia, invidia e rancore. Infatti, benché soffra per l’amore non corrisposto, nel suo cuore c’è spazio anche per “patire” per la sua Regina e per l’uomo di cui si è innamorata.
Il dolore produce sempre profondi cambiamenti e Oscar decide che la sua vita sarà quella di un uomo senza più il bisogno di nessun aiuto da parte di André; come se volesse “staccarsi” da chi potrebbe riaccendere in lei passioni troppo forti in quel momento, o forse perché per comprendere c’è bisogno di solitudine. E’ qui che Andrè le rivela il suo amore, le strappa la camicia e la mette di fronte al suo essere donna. Ma Oscar dovrà percorrere la strada verso la conoscenza di sé prima di poter comprendere se stessa e l’amore che la lega ad Andrè. Questo episodio di violenza simboleggia come si sente il personaggio in quel momento della storia: Oscar si scopre donna in balia delle proprie emozioni e vive tutto questo come un’aggressione alla vita in divisa (protetta come una corazza) che ha fino ad allora vissuto, non avendo ancora trovato in lei la forza per gestire tali sentimenti e fonderli con le altre parti della propria identità. Come se vivesse una spaccatura interiore, una crisi (krisis) che segna lo stato di squilibrio e il possibile riequilibrio.
Oscar lascia la Guardia Reale per i Soldati della Guardia e affronta altre sfide: dovrà farsi accettare dai soldati come capitano che è anche donna. Qui ritrova Andrè che la segue per proteggerla.
Quando Oscar è ormai calata nel suo modo di essere donna e soldato, il padre torna in scena scusandosi di averla cresciuta come un uomo e ammettendo di aver sbagliato tutto. Ora vuole rimediare e ordina a Oscar di accettare la mano di Girodelle o di un altro uomo che potrà scegliere. Al ballo in suo onore, dove dovrebbe trovare il suo futuro marito, Oscar si presenta vestita in uniforme deridendo i presenti perché “non c’è neanche una dama da far ballare”: ride di fronte a tale scena, ride di fronte ad un padre (regola maschile) che pensa di poter influire sulla vita della figlia. Non ha influito sul suo essere donna quando le ha ordinato di indossare un’uniforme e non influisce ora che ha trovato da sola la sua identità che unisce la forza della spada e la sua sensibilità femminile.
Quando iniziano le prime lotte del popolo, Oscar scopre di avere una malattia che la porterà presto alla morte. Taglia i ponti con tutto ciò che faceva parte del suo passato: lascia la sua Regina al suo destino anche se quest’ultima le chiede di proteggerla (anche qui è puro sentimento di amicizia dove c’è il rispetto e la comprensione dell’altro), tradisce la Corona mettendosi dalla parte del popolo affamato e scopre l’amore che la lega ad Andrè. L’anima di madamigella Oscar ha in questo momento della storia trovato la sua natura e dopo la morte del suo amato ormai cieco (l’amore rende ciechi della ragione per illuminarci di fede), che muore per salvarla, Oscar perde la vita in battaglia, un’ora prima della presa della Bastiglia.
ANDRE’ GRANDIER
Parigi (1754 – 1789). E’ il nipote della governante della famiglia Jarjayes ed è al fianco di Oscar fin dall’infanzia con il compito di servirla e proteggerla.
Andrè ama Oscar di un amore puro che non lega, come spesso accade, al possesso. Lui la ama, la comprende e le rimane accanto sempre. E’ attraverso ciò che egli pensa che veniamo a conoscenza durante il racconto di ciò che prova Oscar, lui sa riconoscere i sentimenti della sua amata senza che lei parli e forse ancor prima che lei li comprenda.
Trapela da questo personaggio una forza che non è del corpo ma dell’anima. Soffre in solitudine, è di appoggio alla sua amata anche quando lei, presa dai suoi tumulti, non può essergli vicino. Ha un amico Alain che lo comprende profondamente e lo rispetta.
Rimane accanto ad Oscar ed è testimone del suo percorso interiore, quasi un angelo custode che la veglia e in alcuni casi interviene per aiutarla. Infatti è quasi sempre un aiuto silenzioso il suo, fatto di comprensione. E’ il personaggio che sa, conosce Oscar, conosce ciò che sta succedendo in Francia, nel mondo dei Nobili e nel mondo dei francesi che patiscono la fame.
Nella caccia al cavaliere nero (che diventerà un compagno di battaglia) Andrè viene ferito all’occhio destro, che simbolicamente è la parte maschile. Vede solo con l’occhio sinistro che è legato simbolicamente al femminile e quindi acquista una capacità di intuizione legato alla luna e all’occulto. Ma il suo destino è la cecità, ossia l’acquisizione della visione interiore che porta alla vera conoscenza.
Quando il padre di Oscar in nome dell’onore della famiglia vuole giustiziare la figlia, perché questa ha deciso di non servire più la corona, Andrè le salva la vita.
André muore il 13 luglio 1789 colpito al cuore da una fucilata nemica proprio per salvare la vita di colei che ama e mentre sta combattendo, ormai cieco, per i valori in cui crede.
MARIA ANTONIETTA
Maria Antonietta è una ragazzina bellissima e solare. Quando deve partire per diventare la futura Regina di Francia è una bambina che è costretta a lasciare il suo paese e sua madre per vivere la vita che le è stata assegnata. Quando arriva in Francia si accorge di essere già amata dal popolo e in lei si accende un orgoglio ingenuo per la sua bellezza tanto ammirata.
Incontra per la prima volta Oscar quando la giovane la salva da un attentato: Maria Antonietta nota l’eleganza e la bellezza di quel soldato e quando scopre la sua identità di donna lo stupore diventa ammirazione. Tra le due donne nasce un’amicizia basata sul profondo rispetto, amore e comprensione. Oscar comprende come nessun altro le inquietudini e le profonde tristezze che portano la Regina a sperperare denaro per colmare il vuoto che la vita di corte le impone, una vita fatta di dovere e senza libertà di amare e di seguire il proprio cuore.
Ad un ballo in maschera, in uno dei pochi momenti in cui Maria Antonietta assapora cosa vuol dire essere se stessa e non la consorte del delfino di Francia, incontra e si innamora del Conte di Fersen.
Benché sia stata una bambina e una giovane donna costretta ad una vita piena di dolore, Maria Antonietta si assume le sue responsabilità e prova senso di colpa per i suoi errori. Nel suo essere madre ritrova un senso alla propria esistenza e con la morte di suo figlio sente il peso dei terribili errori che ha commesso durante la sua vita da Regina. E’ una Regina che non ha saputo amare davvero il suo popolo ed è una donna che ha vissuto schiacciata e oppressa da una vita di corte che le ha negato ogni aspirazione.
Lo stesso popolo che l’aveva rivestita di speranze e di forte devozione la condanna a morte.
ROSALIE LAMOLIERE
Rosalie Lamorliére cresce nella Parigi povera che patisce la fame. Alla morte della madre Nicole Lamorliere, uccisa brutalmente da una carrozza di nobili, scopre di essere stata adottata e di essere figlia di una nobildonna.
Sconvolta dalla morte della madre Rosalie decide di vendicarsi uccidendo la donna che era nella carrozza. Incontra Oscar quando scambia Madame Jarjayes per l’assassina della madre e tenta di ucciderla. Oscar ascolta la storia di Rosalie e l’accoglie in casa come fosse una sorella minore.
E’ una ragazza fragile e impaurita ma l’incontro con Oscar la rende una donna forte e combattiva. Infatti quando scopre la vera identità della madre, la Contessa de Polignac, è pronta a cambiare vita e seguire quella donna senza scrupoli che, anche dopo il suicidio della figlia minore Charlotte, tenta di usare anche la primogenita per arricchirsi combinando un matrimonio con un duca. Rosalie accetta per proteggere Oscar dalle malignità e dallo spirito vendicativo della donna ma si libererà di lei e ritornerà alle sue vere origini: a fianco del popolo di Parigi.
Assiste la Regina negli ultimi momenti della sua vita.
BY: Irene Barbruni
Maria Antonietta
Maria Antonietta (Marie- Antoinette)
di S. Coppola (USA, Giappone, Francia 2006)
USA, Giappone, Francia 2006 Regia: Sofia Coppola. Interpreti principali: Kirsten Dunst, Jason Schwartzman, Rip Torn, Judy Davis, Asia Argento, Marianne Faithfull, Danny Huston, Molly Shannon, Steve Coogan, Rose Byrne, Shirley Henderson.
Sofia Coppola racconta, in questo film, la biografia di un’adolescente, poco importa che sia la Regina di Francia, Maria Antonietta è una ragazzina con le inquietudini piccole e grandi di una bambina che diventa donna all’interno di un mondo che le offre ricchezze materiali e non rispetto ed autentica comprensione dei bisogni spirituali di un individuo in evoluzione.
La situazione storica del periodo non trapela e non influenza la protagonista, ciò rappresenta bene l’isolamento e l’estraneazione che Maria Antonietta vive rispetto al suo ruolo di Regina e al suo posto nel disegno dell’esistenza.
All’inizio del film è una bambina felice, spensierata e allegra costretta ad abbandonare il suo paese. Quando parte per la Francia deve disfarsi di ogni cosa appartenente all’Austria dando un brusco taglio al cordone ombelicale ancora presente. Arriva nella nuova patria totalmente sola, senza la forza e la capacità di districarsi autonomamente nel mondo per non farsi inghiottire da una società di nobili in piena crisi storica ed esistenziale, senza la minima consapevolezza della disfatta imminente.
Si trova con un marito che è ancora immaturo come lei, ed ecco che le ricchezze che la circondano diventano il suo unico nutrimento. L’amore, di cui avrebbe bisogno, alla corte non esiste: non esistono amicizie autentiche, ma solo compagni di giochi, e anche l’amore con il conte di Fersen è rappresentato nel film, come una passione che ha la sola funzione di riempire un vuoto esistenziale. Il cibo, i vestiti e le grandi parrucche, rappresentano la ricerca di un senso della vita in un modo sterile e superficiale.
La madre, da lontano, attraverso il consigliere di Maria Antonietta, veglia sulla figlia che ascolta e fa tesoro dei consigli dati. Lei ha bisogno di una guida che le faccia prendere coscienza del ruolo che investe, ma in assenza di questo filo conduttore gioca senza la minima consapevolezza delle conseguenze del suo modo di vivere; ingenuamente sperpera denaro senza la minima cognizione della sofferenza delle persone che hanno lavorato duramente per guadagnarlo.
E’ una giovane non diversa dagli adolescenti di oggi (il parallelo con il mondo attuale è sottolineato da una colonna sonora che mescola musica d’epoca a brani di Bow Wow Wow, New Order e Phoenix), che in fondo sono come i nobili della corte francese che possiedono una ricchezza materiale (avuta senza il minimo sforzo) che li abbaglia, gli stordisce. Ecco che i beni materiali e il godimento della vita senza un senso diventano una trappola, una rete in cui un’anima non può evolvere.
Alla fine del film Maria Antonietta decide di rimanere accanto al Re suo consorte anche se è cosciente dell’imminente pericolo (quando parte dalla carrozza guarda il Palazzo di Versailles ed è consapevole che non tornerà più). Si comprende come questo gesto significhi la totale innocenza di Maria Antonietta; è coerente, non fugge e con estremo coraggio e forza, accetta il suo destino. Finalmente è consapevole del ruolo importante che ha come Regina, moglie e madre, in un periodo di totale cambiamento in cui lei diventa simbolo di una nobiltà inconsapevole che vive nello sperpero negando al popolo la dignità e il diritto di vivere e non morire di fame; sia pure nel limite di un’individualità che non mette a fuoco una visione più grande della propria esistenza, ma che rimane prigioniera di una visione miope della vita.
BY: Irene Barbruni
Elisabethtown (nuova recensione)
Elisabethtown
di C. Crowe (USA, 2005)
USA, 2005 Regia: Cameron Crowe. Interpreti principali: Orlando Bloom, Kirsten Dunst, Susan Sarandon, Judy Greer, Jessica Biel, Alec Baldwin
Drew Baylor (Orlando Bloom) ha appena causato la perdita di centinaia di milioni alla ditta per cui lavora, la notizia non è ancora pubblica ma presto lo sarà. Drew ritorna in azienda sapendo che sarà licenziato e subisce, con un sorriso amaro sul volto, gli sguardi di pietà dei suoi colleghi. Oltre alla fine del sogno lavorativo il giovane si ritrova privo dell’appoggio della fidanzata che lo lascia solo con il suo fallimento.
Le amicizie di Alice sono legate all’ambiente sociale in cui vive, caratterizzato da famiglie ricche legate da rapporti superficiali. Scoprirà la falsità delle donne che credeva sue amiche. Inoltre vive un rapporto non soddisfacente con il marito ma che lei crede comunque fedele e quando scopre la sua infedeltà è come se vedesse finalmente la realtà del suo matrimonio, che è ormai finito.
Drew sente di aver toccato il fondo, è ancora vivo in lui l’orgoglio di essere stimato e apprezzato per il suo successo; molti sono i flashback che ci descrivono la gloria del momento appena precedente al colossale fallimento. Dice a se stesso e agli altri “sto bene” ma la sera stessa svuota il suo appartamento di tutti gli oggetti, e prepara il suo suicidio con un originale macchinario costruito con un coltello e una cyclette. Come a dire che senza il successo materiale legato ai soldi e al potere la vita non ha più senso perché lui non ha più valore come persona. Ma quando arriva il momento del suicidio una telefonata interrompe il suo progetto di morte: è la sorella che gli comunica che il padre è deceduto. A questo punto Drew decide di svolgere il suo dovere ed andare a prendere la salma del padre, che al momento della scomparsa era dai parenti nella piccola città natale Elizabethtown; ma promette a se stesso che poi ritornerà a finire il lavoro iniziato. Sarà un viaggio verso le origini, verso la conoscenza del padre e verso ciò che negli ultimi tempi Drew aveva considerato non importante rispetto alla carriera.
Durante il volo incontra Claire, una hostess (Kirsten Dunst) che comprende subito lo smarrimento interiore del ragazzo senza che lui dica nulla. Lei sa che ha bisogno di aiuto e gli da’ alcune indicazioni per muoversi in quel territorio nuovo. Sull’aereo deserto Claire è quasi invadente nei confronti di Drew e irrompe nella vita di questo giovane perché capisce subito che è un ragazzo che ha perso la propria voglia di essere vivo. Questa hostess gli regala una nuova bussola per orientarsi nel mondo e sa che Drew ha bisogno di lei così gli lascia il suo numero nascosto tra le righe del disegno delle strade da percorrere.
L’incontro con Claire è l’incontro con il sogno della vita che va ben al di là del successo nel lavoro. Drew all’inizio del film vive come tragedia e come morte il fatto di non essere più il giovane emergente di successo che tutti apprezzavano. Claire rappresenta una nuova visione dell’ esistenza: l’alba diventa un evento intriso di senso, un fallimento nel lavoro non è “il” fallimento e il sentirsi vivi non passa attraverso il successo planetario ma attraverso la capacità di vivere autenticamente e relazionarsi con gli altri.
Una commedia che ci porta un’atmosfera rosea e magica della vita che sempre più spesso è vissuta tra i grigiori di sentimenti artificiali.
BY: Irene Barbruni
Una donna in carriera
Una donna in carriera (Working girl)
di M. Nichols, (USA, 1988)
USA 1988. Regia: M. Nichols. Cast: M. Griffith, S. Weaver, H. Ford, A. Baldwin.
Una donna in carriera è un film americano del 1988 in cui sono rappresentate le difficoltà della carriera femminile e la rivalità tra le donne in carriera attraverso le vicende di una giovane che tenta di affermare le proprie capacità nel mondo degli affari.
M. Griffith interpreta il ruolo di Tess una segretaria che lavora per un dirigente e che, dopo l’ennesimo comportamento irrispettoso nei suoi riguardi, chiede un trasferimento in un altro reparto. Va quindi a lavorare con una donna, Katharine, interpretata da S. Weaver, la quale sembra molto disponibile e gentile nei suoi confronti e con la quale manifesta subito la sua ambizione di voler far carriera. Katharine, subisce un infortunio che la tiene lontana dall’ufficio e Tess, dovendola sostituire, si accorge che la donna si stava appropriando di un’idea che le aveva proposto lei: decide così di concludere l’affare per conto suo.
Tess è una donna intelligente, ambiziosa e consapevole delle sue capacità, cerca di imporsi nel mondo del lavoro che, fino a quel momento, le ha dato poche soddisfazioni. Il confronto con Katharine, una donna che prima stima ma poi scopre senza scrupoli e scorretta, la sprona a cercare di imporsi “infrangendo le regole” che non le rendono giustizia.
I rapporti di amicizia che si osservano tra i personaggi sono legati al contesto lavorativo. Tra Tess e Katharine c’è una differenza di ruolo e di interessi che non permette l’instaurarsi di un rapporto sincero. Tess ha un’amica, segretaria come lei, che conosce sia le sue intenzioni lavorative che i suoi problemi personali ma non c’è una vera comprensione reciproca, infatti la protagonista appare sola di fronte alle prove che deve affrontare. Questo film descrive la dialettica donna-lavoro in un periodo storico e sociale in cui il mondo del lavoro cambia e diventa un territorio più accessibile alle donne rispetto a quanto lo era in passato. La “lotta” tra Tess e Katharine ben rappresenta la situazione che le prime donne in carriera hanno dovuto affrontare: donne che litigano per l’unico posto di lavoro che è loro concesso.
Per quanto riguarda il rapporto di coppia, esso è rappresentato attraverso le vicende della protagonista e sono descritte due relazioni sentimentali. La prima con un uomo che non partecipa ai progetti e alle ambizioni della propria compagna. Significativa a questo riguardo è la scena in cui il compagno di Tess le regala, in occasione del suo compleanno, un completo intimo che sembrerebbe rivelare una visione limitata alla sfera corporea della propria compagna, la quale diventa un oggetto sessuale sostituibile. Il secondo rapporto è differente, infatti Jack, il ruolo interpretato da H. Ford, la conosce come donna intraprendente e finalmente non nascosta dietro al ruolo sminuito di segretaria. Ciò permette l’istaurarsi di un rapporto paritario basato su una reciproca stima.
La corporeità è vissuta sia come ostacolo alle ambizioni lavorative che come una parte dell’identità molto importante nell’approccio con gli altri. L’aspetto volitivo assume, sicuramente, particolare rilievo in questo personaggio perché diventa il principale mezzo per affermarsi; mentre conoscenza e sapere sono nascosti dal ruolo che ricopre Tess, che viene sminuito a livello sociale. Infatti, una volta liberata dal ruolo, la donna riesce ad affermarsi potendo manifestare le proprie capacità e la propria intraprendenza.
Ciò che differenzia i due personaggi femminili è la modalità con cui perseguono i propri obiettivi cercando di autorealizzarsi attraverso la professione. Infatti, mentre nel personaggio di Tess è rappresentato un tipo di grinta che le permette di cambiare ciò che ritiene sbagliato, senza però perdere integrità, nel personaggio di Katharine è rappresentato un tipo di volizione determinato ma a prezzo della perdita della propria dignità come persona corretta.
La protagonista rappresenta una tipologia di donna che si impone degli obiettivi e ha la capacità di realizzarli. Ciò che caratterizza una persona che si autorealizza è la relativa indipendenza dall’ambiente fisico e sociale, infatti nel film Tess non si ferma di fronte alle limitazioni, che l’ambiente di lavoro le impone, ma spinta da forte motivazione, realizza i propri progetti. Già Maslow (Motivazione e personalità, 1973) negli Anni Settanta aveva osservato che la donna stava maturando un forte bisogno di autorealizzazione e tra gli Anni Ottanta e Novanta questa tendenza è diventata sempre più diffusa. L’importanza del lavoro nell’identità e nell’autostima delle donne è spesso oggetto di riflessione. Per esempio, Miceli (L’autostima,1998) osserva che nella società contemporanea l’autostima sia fortemente influenzata da ciò che un individuo riesce a fare o non fare e, quindi, si può presumere che per la donna sia fondamentale acquisire una buona autostima attraverso i successi lavorativi.
Attraverso le vicende e i personaggi femminili di questo film si può osservare un messaggio femminista, che è parte dell’evoluzione più recente del pensiero femminista europeo. Infatti, le figure femminili qui rappresentate sono donne che non cercano più la parità con l’uomo assumendo caratteristiche mascoline, ma promuovono l’affermazione del “soggetto donna” (Gelli, L’università delle donne, 2002). Un percorso identitario completo è possibile solo se si basa sulla specificità dell’essere donna, e quindi sulla differenza sessuale (Ramella, Piani intersoggettivi, 2003).
BY: Irene Barbruni
Tutto su mia madre
Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre)
di P. Almodòvar (Spagna-Francia, 1999)
Spagna-Francia 1999. Regia: P. Almodòvar. Interpreti principali: C. Roth, M. Paredes, P. Cruz, A. San Juan.
Tutto su mai madre racconta la storia di Manuela e, attraverso di essa, il dolore della morte di un figlio. Manuela e il figlio diciassettenne Esteban vanno a teatro per festeggiare il compleanno del giovane: all’uscita il ragazzo, per chiedere l’autografo all’attrice, viene investito da un’auto. La madre sconvolta per la morte del figlio decide di partire per Barcellona e rintracciare il padre del ragazzo, un travestito che ora si fa chiamare Lola. Lì ritrova una vecchia amica e aiuta sia lei che altre due donne: l’attrice che inconsapevolmente ha provocato la morte di Esteban e una suora rimasta incinta di Lola.
La protagonista è una donna che è identificata nel suo ruolo di madre e ritrova un senso per la propria vita nel tornare ad essere madre. Infatti alla fine tornerà a casa con il bambino dell’amica anch’esso figlio dello stesso padre di Esteban ; un padre assente per i figli in modo concreto ma presente nell’immaginario del figlio e nel rancore che la madre prova. Anche nel rapporto con gli altri si vede come Manuela sia propensa ad aiutare chi le sta intorno comprendendo ogni situazione e accettando gli altri con profondo amore. L’amicizia è schiacciata sulla dimensione del sostegno e dell’aiuto e non c’è reciprocità, infatti Manuela aiuta con amore materno le persone che incontra senza aspettarsi nulla in cambio e le amiche si affidano a lei nel momento del bisogno; anche il rapporto di coppia è fortemente filtrato dall’esperienza materna.
La maternità è un elemento fondamentale per l’identità di questa donna e si può ritrovare in tutti gli aspetti dell’identità e la vocazione materna diventa in questo personaggio un sentimento universale, che attraversa in modo trasversale ogni aspetto della vita.
Manuela si prende carico dell’amica in difficoltà e si possono notare alcune caratteristiche nel loro modo di interagire simile a quello tra una madre e una figlia. Infatti l’amica decide di prendersi cura di Rosa perché sente forte dentro di sé l’istinto di accudire le persone in difficoltà che incontra. Anche con altri personaggi della vicenda ha lo stesso atteggiamento. Manuela rappresenta un tipo di donna totalmente identificata nel ruolo di madre che accudisce e accoglie le persone a cui vuole bene, quindi si riconosce in quello che la Deutsch (Psicologia della donna adulta e madre, 1945) chiama “spirito materno”.
Seguendo, invece il pensiero di Jung (Gli archetipi e l’inconscio collettivo, 1980) si può ritrovare nel personaggio di Manuela quello che lui chiama “ipertrofia del materno” che comporta un rafforzamento di tutti gli istinti femminili in primo luogo dell’istinto materno: è la donna il cui unico scopo della vita è la procreazione infatti concepisce un figlio con il marito quando in realtà non è più un uomo ma un transessuale che si fa chiamare Lola. Manuela non trova alcuna ragion d’essere al di là del figlio infatti alla fine ritrova in senso alla propria esistenza portando a casa il figlio dell’ex marito.
Tutte le donne del film sono molto particolari e fuori del comune. La giovane suora, Rosa, che si lascia sedurre da Lola dalla quale non avrà solo in dono un bambino ma anche la morte. Lola un uomo che vuol essere donna e che sente forte l’istinto di diventare genitore fino a concepire, inconsapevolmente, due bambini. Inoltre, è descritta una coppia di attrici lesbiche in crisi, una perché troppo dipendente dalla compagna e l’altra che vive le proprie frustrazioni sfuggendo da esse attraverso la droga: entrambe quindi descritte nella loro debolezza. Un’altra figura presente è quella di Agrado una prostituta che si appoggia a Manuela per costruirsi un futuro migliore ed uscire dal degrado. Tutti questi personaggi sono descritti nella loro diversità e nel loro coraggio di essere se stessi. Ogni personaggio è accettato e valorizzato al di là dei propri errori, significativo a questo riguardo è la fine del film in cui Manuela mostra la foto del figlio a Lola, mostrando di essere andata al di là del rancore e aver accettato gli errori e le debolezze del padre di suo figlio.
BY: Irene Barbruni
Tre vite allo specchio
Tre vite allo specchio (If These Walls Could Talk)
di N. Savoca e Cher (USA 1996)
USA 1996 REGIA: Nancy Savoca, Cher ATTORI: Demi Moore, Sissy Spacek, Cher
Tre vite allo specchio è un film che tratta la tematica dell’aborto attraverso tre personaggi femminili che affrontano una gravidanza non voluta in contesti sociali e politici diversi.
La prima storia, ambientata negli Anni Cinquanta (quando negli USA l’aborto era illegale), descrive il dramma di un’infermiera vedova (D. Moore) che scopre di essere incinta e abortisce in modo clandestino. La seconda è ambientata negli Anni Settanta e la protagonista è una madre di quattro figli (S. Spacek) che si ritrova gravida senza volerlo, proprio nel momento in cui cerca di terminare gli studi e rimettersi a lavorare. La terza è ambientata negli Anni Novanta dove in una clinica, presidiata da dimostranti antiaboristi, una dottoressa (Cher) assiste una studentessa (A. Heche) alle prese con una gravidanza inaspettata.
Per non discostarmi dall’argomento specifico di questo capitolo, che è quello di descrivere la donna degli Anni Settanta, scelgo di soffermarmi sul secondo episodio.
Il personaggio interpretato dalla Spacek è una donna che ha dovuto lasciare gli studi a causa della prima gravidanza e del conseguente matrimonio. Dopo aver dedicato anni della sua vita al ruolo di madre questa donna sta cercando di riprendere la passione per lo studio, di laurearsi e di iniziare ad insegnare. La gravidanza inaspettata diventa un grosso limite per tutti i suoi progetti. Il contesto sociale, politico e culturale permette a questa donna di poter decidere autonomamente come gestire questa situazione.
La protagonista, in questo momento di riflessione, ha accanto il marito, l’amica e la figlia più grande che a loro modo danno il proprio consiglio e la propria opinione sulla questione. Il marito non considera la possibilità di interrompere la gravidanza; rimane scioccato e turbato dalla situazione ma è una preoccupazione legata all’economia familiare che può essere risolta. La moglie, invece, prende in considerazione la possibilità di non avere il bambino perché per lei ciò comporta un sacrificio molto più grande rispetto a quello del marito, infatti dovrebbe rinunciare nuovamente a realizzare i propri progetti. L’amica è la prima persona con cui la protagonista si confida, anche lei ha vissuto una situazione simile e ha scelto l’aborto; racconta la sua esperienza dicendo di non aver vissuto male quella scelta e di non aver mai avuto rimpianti, però le dice anche che non tutte le donne sono uguali e che quindi la decisione deve essere presa in base al suo vissuto interiore. La figlia ricorda alla madre che è un suo diritto abortire e vede nella nascita di quel bambino un ostacolo sia per le sue aspirazioni che per quelle della madre. Gli altri figli non sono a conoscenza delle inquietudini della madre ma sembra abbiano avuto un grosso peso nella sua decisione. Infatti sembra che sai proprio guardando i propri figli che la donna riesce a prendere la coraggiosa decisione di proseguire la gravidanza.
In questo personaggio ritroviamo le tematiche esplorate da Pattis (Aborto: perdita e rinnovamento: un paradosso nella ricerca dell’identità femminile, 1995) la quale spiega come solitamente nelle donne contemporanee l’aborto è scelto non per il mancato desiderio di maternità, ma per motivi esterni che sono ritenuti più importanti in quel momento della loro vita. Nello specifico questa donna sente più forte il ruolo materno.
Anche in questo film, come in Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer) di R. Bentos (USA 1979), è presente il conflitto tra il bisogno di evadere dal ruolo di moglie e di madre e la consapevolezza che, però, non è possibile fuggire dall’essere madre.
BY: Irene Barbruni
Thelma e Louise
Thelma e Louise
di R. Scott (USA, 1991)
USA 1991. Regia: R. Scott. Interpreti principali: S. Sarandon, G. Davis, B. Pitt.
Thelma e Louise racconta la storia di due donne, una casalinga e una cameriera di un fast food; deluse dal rapporto con gli uomini e alla ricerca di una relazione più soddisfacente che non trovano. Le due amiche partono per un week-end in montagna; durante il viaggio Thelma conosce in un locale un uomo che tenta di violentarla ma Louise lo ferma e lo uccide; inizia così la fuga delle due donne verso il Messico.
Thelma è una donna che non vive al di là di un matrimonio infelice con un uomo gretto e maschilista e il viaggio con l’amica rappresenta per lei la prima trasgressione della sua vita. Vive fino in fondo questa nuova libertà anche se la sua irrequietezza e ingenuità la portano verso esperienze pericolose. I due uomini che incontra non sono diversi dal marito; entrambi la usano o la trattano come una cosa senza valore e la lasciano in una situazione vulnerabile dimostrando con questo come la figura maschile, che ha dentro di sé, la porti inevitabilmente verso uomini “sbagliati”. Thelma vive un rapporto di coppia in cui la moglie è solo colei che si occupa della casa senza avere un minimo di autonomia e di libertà e in cui c’è un dominante e un dominato.
Louise diventa per Thelma un punto di riferimento; essendo stata ferita e tradita dal mondo maschile è più consapevole e meno impulsiva perché conosce la crudeltà e i pericoli del mondo. Il rapporto sentimentale di Louise è anch’esso caratterizzato da uno sbilanciamento ma è lei che acquista potere decisionale.
L’amicizia tra queste due donne è l’unica loro forza, inoltre è l’unico ambiente che loro possono frequentare liberamente e in cui possono essere se stesse; trovano entrambe appoggio l’una sull’altra.
Per Thelma il corpo è l’elemento principale con cui entra in rapporto con gli altri anche se poi viene usata e tradita, mentre in Louise sembra esserci più consapevolezza del fatto che una donna non può affidarsi unicamente al suo corpo. Questa differenza si riscontra anche dal punto di vista del modo di agire dei due personaggi. Infatti Thelma ha un fare impulsivo e sprovveduto mentre Louise ha un modo di agire più astuto e meditato. Thelma ha un sapere limitato alle proprie esperienze di vita e viziato dalle proprie ingenuità mentre la conoscenza di Louise è fondata su esperienze negative. Però entrambe sono animate in un modo più o meno consapevole della ricerca dell’oltre. Significativa a questo riguardo è la scena finale in cui entrambe sono d’accordo a non tornare indietro ma a ricercare un approdo in qualcosa di più autentico, lanciandosi nel vuoto, per mano, con la propria auto e non arrendendosi alla polizia.
Nel dramma che queste due donne vivono, nel rapporto con gli uomini che incontrano e con il maschile in generale, ritroviamo i temi di cui parla Welldon (Madre, madonna, prostituta: idealizzazione e denigrazione della maternità, 1995) la quale puntualizza come ancora oggi il rapporto sessuale sia una modalità con cui l’uomo afferma la propria autorità. Le protagoniste rifiutano l’ideologia maschile e cercano una dimensione che le renda libere; in questo film le due donne trovano la libertà solo con la morte, come a voler sottolineare la loro delusione e la rassegnazione verso quel tipo di realtà.
Questo film tratta tre temi principali, che si sviluppano durante la vicenda. Il primo è il tema della solitudine: le due protagoniste sono profondamente sole, infatti Thelma, nel legame con il marito, non trova spazio per avere un rapporto autentico in quanto non riceve dall’uomo né stima né amore, mentre Louise tiene per sé le sue inquietudini e i suoi problemi perché non ha nessuno di cui fidarsi. Il secondo tema è quello della trasgressione: le due protagoniste reagiscono alle loro inquietudini cercando di evadere, almeno per un po’ di tempo, dal grigiore della loro vita. Il terzo tema è quello della libertà: entrambe alla fine del film vogliono liberarsi dalle ingiustizie e dai soprusi, che hanno dovuto subire, e scelgono di non tornare indietro, ma di essere finalmente libere.
BY: Irene Barbruni
Soldato Jane
Soldato Jane (G. I. Jane)
di R. Scott (USA-GB, 1997)
USA- GB 1997. Regia: R. Scott. Interpreti: D. Moore, V. Mortensen, A. Bancroft.
Soldato Jane è un film che tratta il tema delle pari opportunità tra i sessi attraverso le vicende di una donna, Jordan O’Neil, che alla fine degli Anni Novanta, decide, sotto la spinta di una senatrice, di arruolarsi per far parte di un duro addestramento al quale nessuna donna si era mai sottoposta e a cui molti uomini rinunciano per il lavoro massacrante che è previsto. Lo scopo è quello di dimostrare che anche una donna può combattere in prima linea. Oltre alle fatiche fisiche estenuanti Jordan dovrà fare i conti con l’ostilità dei compagni.
Il personaggio di Jordan è caratterizzato da una personalità forte e determinata che cerca di affermarsi in un mondo maschile come è quello militare.
Indipendente nelle sue scelte e con una notevole forza di carattere, che le permette di affrontare dure prove in cui deve continuamente dimostrare agli altri e a se stessa di essere all’altezza. Riuscirà nel suo intento, infatti non solo supererà l’addestramento ma conquisterà la fiducia dei suoi compagni e perfino dell’istruttore capo che tenta in tutti i modi di dimostrare che una donna in combattimento è solo un pericolo per gli altri soldati. Infine non lascia nemmeno che la senatrice la usi per i suoi giochi politici uscendo vincitrice anche da quel punto di vista. Mentre la senatrice è totalmente presa dal voler conquistare più potere e usa le battaglie politiche delle donne unicamente per far carriere e trarne dei benefici personali, la protagonista dimostra di voler combattere la propria battaglia e come lei stessa dice, senza diventare il simbolo delle lotte femministe, ma probabilmente è proprio attraverso le sue conquiste personali e senza perdere mai integrità che può contribuire alla causa femminista, cosa che la senatrice, benché abbia un ruolo di potere, non può fare.
L’amicizia è legata al contesto militare, infatti la protagonista conquista la fiducia dei suoi compagni di battaglia e frequenta alcune donne dell’esercito. Per quanto riguarda il rapporto di coppia con un altro ufficiale della Marina, può essere definito paritario e caratterizzato dal dialogo. Anche divergenze di opinioni o disapprovazioni di scelte non rompono il rapporto ma, dopo momenti di incomprensione, rafforzano l’intesa.
L’identità di questo personaggio è basata sulla consapevolezza delle proprie abilità militari e quindi su una conoscenza raffinata legata a quell’ambiente; inoltre è descritta una tipologia di carattere determinato con una forte tendenza ad oltrepassare gli schemi con convinzione. Il corpo è il mezzo per realizzare le proprie ambizioni e il suo lato femminile un ostacolo per la realizzazione. Alla base della determinazione c’è un senso di giustizia molto forte e l’ostinazione a voler essere considerata come persona con delle capacità al di là del proprio sesso di appartenenza.
Jordan vive le limitazioni della propria struttura anatomica (Welldon, Madre, madonna, prostituta: idealizzazione e denigrazione della maternità, 1995) ma riesce a liberarsi da ciò che è il suo destino, imposto dalla società, e affermare la propria identità.
La protagonista di questo film fornisce un’ immagine femminile in netto contrasto con le donne rappresentate nei film degli Anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta nel contesto militare. Infatti la donna in guerra era rappresentata unicamente nel ruolo di infermeria, segretaria o moglie, e quindi mai in un ruolo attivo alla pari degli uomini. La figura del soldato donna mostra una nuova immagine di femminile che non è più solo caratterizzata dalla dolcezza e dalla sua indole protesa alla cura e all’accudimento dell’altro, ma una donna forte, aggressiva e determinata pronta a privarsi di alcuni aspetti della femminilità per soddisfare le sue aspirazioni. In questo si può osservare un tipo di identità che non trae il suo essere donna dall’aspetto esteriore e dal ruolo che ricopre, ma unicamente dal suo essere donna e non dal suo apparire come tale.
BY: Irene Barbruni
Segreti e bugie
Segreti e bugie (Secrets and lies)
di M. Leigh (GB-Francia, 1996)
GB- Francia 1996. Regia: M.Leigh. Interpreti principali: B. Blethyn, P. Logan, M. Jean-Baptiste, T. Spall, C. Rushbrook.
Segreti e bugie racconta la storia dell’incontro di una figlia con la madre naturale. Siamo nell’Inghilterra degli Anni Novanta: alla morte dei genitori adottivi, una giovane donna nera, Hortense, decide di trovare la madre naturale e scopre che è una donna bianca di nome Cynthia, molto fragile e sola che vive una vita profondamente infelice. Cynthia ha un’altra figlia ventenne, con cui vive un rapporto conflittuale e difficile, e un fratello che rimane il suo punto di riferimento. Durante una festa di compleanno vengono fuori i segreti e le bugie che per anni hanno influenzato i legami affettivi e familiari.
Cynthia vive con la figlia in una condizione medio-bassa sia dal punto di vista economico che culturale. Entrambe sono impiegate in lavori che non sono fonte di realizzazione personale ma permettono loro solo una vita di stenti e povertà. Hortense, diversamente, proviene da una famiglia benestante e ha un alto livello di cultura che le permette di avere un lavoro che la realizza come donna e come persona. Hortense appare, quindi, una giovane donna equilibrata e realizzata dal punto di vista professionale. Decide di ricercare le proprie origini, la propria madre naturale, nel momento in cui la madre adottiva la lascia morendo all’improvviso. Sicuramente questa perdita ha lasciato nella vita della ragazza un vuoto che lei cerca di colmare scoprendo la storia della sua nascita, ma la sua scelta rimane, comunque, una decisione ponderata e sentita che comprende anche un desiderio di conoscenza di se stessa.
Cynthia è una donna sola e fragile. Vive una vita infelice e priva di soddisfazioni e si sente come sopraffatta dalla cattiva sorte e dalla sua incapacità di gestire la vita. Con la figlia non riesce ad instaurare un rapporto sereno, forse perché proietta su di lei gli errori che ha commesso nella sua giovinezza vedendola solo come la ripetizione di se stessa. E in questo suo tentativo di “salvarla” dal suo stesso destino provoca in lei aggressività e ostilità nei suoi confronti. Quando Cynthia incontra la prima figlia, avuta da giovanissima e mai vista, sembra trovare in lei quel senso di orgoglio e di dignità che sembra non aver mai provato nella sua vita.
Cynthia non parla direttamente dei suoi genitori. La madre è mancata quando il fratello era ancora piccolo e lei si è occupata di lui; del padre non si conoscono dettagli. Ma dagli avvenimenti che hanno caratterizzato la sua difficile adolescenza e giovinezza si può ipotizzare che non abbia avuto nessun punto di appoggio da parte di persone adulte e quindi abbia vissuto allo sbando, senza una guida. Dalle parole di Hortense si comprende come i genitori adottivi siano stati per lei un forte punto di riferimento, in modo particolare la madre. Hortense sembra vivere una vita piuttosto solitaria e caratterizzata da poche amicizie fondate, però, su un rapporto profondo che le fornisce un pieno appoggio umano e psicologico (lo ricaviamo dai dialoghi con un’amica).
Cynthia non ha amicizie se si esclude il rapporto con il fratello, che funge da appoggio e punto di riferimento nella vita della sorella. Nell’incontro con Hortense sembra trovare una nuova amicizia.
Il rapporto di coppia non è rappresentato in modo diretto ma per quanto riguarda Hortense, sembra che non sia vissuto come fondamentale per la propria identità l’avere un compagno nella vita, considerando anche comunque la giovane età. Invece Cynthia ha vissuto esperienze di abbandono da parte di uomini che, nel momento del bisogno, non le hanno dato sostegno e di conseguenza si trova in un momento della vita in cui non sembra più avere fiducia nel rapporto con l’altro sesso. Ha vissuto, in particolare nella sua adolescenza e giovinezza, gli incontri con i ragazzi in modo immaturo e poco riflessivo.
Cynthia ha vissuto la maternità molto giovane e quindi senza consapevolezza, trovandosi abbandonata a se stessa, nel dolore e nella solitudine. Da questi abbandoni ne ha tratto un senso di squalificazione della figura della donna e dell’essere madre. Inoltre essa vive il rapporto con la figlia come un altro fallimento della propria vita e teme che la giovane possa ripercorrere i suoi errori. Il fatto di conoscere Hortense e di scoprire una giovane donna realizzata e felice sembra farle provare, per la prima volta, orgoglio per qualcosa di positivo che ha saputo fare nella sua vita: in tale contesto riesce a fornire dignità alla propria maternità.
Le dimensioni, attraverso le quali l’identità si esprime, si differenziano notevolmente nei due personaggi. L’identità che traspare dal personaggio di Hortense sembra essere caratterizzata da un rapporto con se stessa e con il suo corpo equilibrato e sereno e anche il modo di agire riflette la sua maturità, consapevolezza e determinazione. Hortense è guidata verso la conoscenza di se stessa dall’incontro con la madre naturale e si può ritrovare l’aspetto spirituale nella spinta a ricercare il senso della propria vita volendo comprendere fino in fondo la sua storia legata all’abbandono della madre naturale.
Cynthia porta i segni sul viso del dolore e dello smarrimento che vive quotidianamente ed esprime attraverso il corpo il suo senso di fallimento e la sua poca fiducia in se stessa. Dall’esperienza del “essere lasciata dall’uomo” trae una cattiva identità di se stessa e del femminile in sé. E ciò in quanto è ancora una donna identificata nel paradigma di “essere la donna dell’uomo”. Il fare di Cynthia è caratterizzato da azioni “spente”, impaurite che denotano il suo vissuto di inferiorità. Nella sua adolescenza e giovinezza si è “gettata” alla conoscenza del mondo maschile in modo inconsapevole e imprudente; scontrandosi con una realtà dura che l’ha lasciata sola nel suo smarrimento. Queste esperienze l’hanno resa fragile e impaurita bloccando la sua voglia di conoscenza di sé e del mondo relazionale. Cynthia probabilmente nella sua vita difficile, fatta di delusioni e fallimenti, non trova spazio per una dimensione altra rispetto alla routine quotidiana, restringendo quindi i propri limiti esistenziali e spirituali.
Nel personaggio di Cynthia troviamo una donna che vive un’esistenza “povera” perché il passato e il contesto non le permettono di vivere in modo diverso, ma nel momento in cui recupera la relazione con la figlia il suo destino cambia. Si può allora ipotizzare che sia proprio la relazione a dare il benessere. Nel personaggio di Hortense si può osservare un tipo di donna che arrivata ad un alto livello di autorealizzazione ha quella sicurezza che le permette di attuare il suo bisogno di conoscenza di se stessa che, in questo caso, trova la sua concretezza nell’incontro con le proprie radici. Questa personalità sembra essere giunta ad una maturità tale de poter affrontare l’incontro doloroso con la propria madre con la consapevolezza della ricchezza che ciò può fornire alla propria crescita personale.
Il personaggio di Cynthia invece trasmette in tutta la scena un modo di percepire se stessa unicamente attraverso gli errori che ha commesso durante la propria giovinezza. Attraverso il linguaggio del corpo questa donna manifesta una chiusura al mondo determinata dalle delusione che la vita le ha portato. L’aspetto volitivo è totalmente schiacciato dai fallimenti del passato che formano un’immagine di se stessa negativa. La maternità e il vissuto di fallimento legato proprio a questo aspetto toglie ogni dignità a questa donna non solo come madre ma anche come donna.
Riprendendo il pensiero di Carotenuto (Riti e miti della seduzione, 1994), il quale spiega che l’incontro erotico è uno spazio privilegiato di relazione che può condurre alla conoscenza di sé, si può ipotizzare che le esperienze negative di Cynthia, riguardo questo aspetto, abbiano fortemente influito sulla sua spinta ad esplorare e conoscere il mondo. Quindi, si è verificata la dinamica per cui un fallimento conduce alla chiusura verso nuove conoscenze.
Queste due donne sono molto diverse da quelle descritte in film precedenti, come per esempio Una donna in carriera (Working girl) di M. Nichols (USA, 1988). Due tipi di femminile che non avrebbero trovato spazio in anni in cui erano rappresentate donne che volevano affermarsi come donne lavoratrici o come madri. Infatti, Hortense è una giovane donna che spinta dal bisogno di contatto e verità cerca la propria madre e la accetta con le sue debolezze e i suoi difetti. Cynthia è una donna rappresentata nella sua fragilità e nella sua sfortuna di essere vissuta in un ambiente sociale svantaggiato. Due donne che ritrovano nella loro relazione un valore per la propria esistenza.