BY: Irene Barbruni

Il disturbo da deficit di attenzione
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Il Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, conosciuto anche come ADHD l’acronimo inglese del Attention Deficit Hyperactivity Disorder, rientra nei disturbi dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente. I sintomi principali sono la mancanza di capacità a mantenere l’attenzione in modo prolungato e l’iperattività. Nello specifico il sintomo dell’inattenzione si manifesta in diversi aspetti quali: difficoltà nell’ascolto dell’altro accompagnata da un’eccessiva distrazione, incapacità di portare a termine dei compiti (soprattutto quelli che richiedono una certa concentrazione), essere portati a dimenticare spesso anche ciò che si fa abitualmente, perdere frequentemente oggetti personali ed essere particolarmente distratti da stimoli esterni e non rilevanti rispetto ad un compito che si sta svolgendo. Invece il sintomo dell’iperattività riguarda tutti gli aspetti comportamentali quali: irrequietezza, incapacità a stare seduti e fermi, difficoltà ad aspettare il proprio turno sia durante un momento ludico che durante una conversazione.

I sintomi devono comparire entro i dodici anni di età, devono persistere per almeno 6 mesi e devono riguardare più ambiti della vita del bambino (quindi non essere circoscritti per esempio solo all’ambito scolastico). Dai dati statistici sappiamo che è un tipo di patologia che si riscontra più frequentemente nei maschi e negli ultimi anni si è osservato un aumento dei casi diagnosticati.

Una valutazione diagnostica completa dovrebbe comprendere, oltre alla somministrazione di test specifici, un approfondimento cognitivo ed emotivo. Infatti, è importante valutare se dietro a comportamenti che possono far pensare all’ADHD ci sia per esempio un disturbo d’ansia oppure un disturbo specifico dell’apprendimento anche se le due patologie possono essere anche associate e spesso lo sono.

Quindi la diagnosi richiede competenze specifiche e il trattamento deve comprendere interventi differenti (psicologo, psichiatra infantile, pediatra) soprattutto se, come spesso accade, all’ADHD si associano difficoltà cognitive e difficoltà sul piano psicologico. Proprio dal punto di vista psicologico si osserva nel bambino con ADHD un quadro caratterizzato da una bassa autostima, difficoltà a relazionarsi e presenza di atteggiamenti provocatori che suscitano il rifiuto degli altri e quindi il conseguente isolamento del soggetto.

BY: Irene Barbruni

L’importanza delle favole nel mondo infantile
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L’importanza delle favole nel mondo infantile

Il racconto della favola è sempre associato al mondo infantile. Perché si raccontano le favole? Qual è la loro funzione?

Sul tema della favola bisogna considerare da una parte il simbolismo, che si collega con gli aspetti evolutivi della personalità, dall’altra la struttura narrativa che disegna l’orizzonte entro il quale si muove lo sviluppo evolutivo. In generale, un buon racconto fiabesco dovrebbe contenere un equilibrato rapporto tra gli elementi simbolici associati a sentimenti ed emozioni negative (come per esempio la paura) e quelli legati a sentimenti positivi. Dobbiamo tenere conto di un fatto importante: quando leggiamo un racconto o vediamo un film si sviluppa un processo identificativo, cioè ci identifichiamo con il personaggio di quella storia. L’evolversi del protagonista nella vicenda ci guida verso l’evolversi di quelle emozioni che attraverso quel personaggio sperimentiamo dentro di noi. Quando questo processo conduce ad un superamento di certe paure ed inquietudini, parliamo di processo catartico: la finalità della favola è proprio questa. Infatti essa non nasce come puro intrattenimento, ma ha lo scopo di promuovere la vita interiore del soggetto che la percepisce. La favola ha un fondo di insegnamento morale/etico e aiuta a riordinare le inquietudini e le emozioni che disturbano l’animo del bambino. E’ chiaro allora che racconti nei quali si sviluppano emozioni negative, che nella vicenda non vengono risolte, possono condurre il soggetto a fissarsi su di esse. Le favole solitamente sono a lieto fine, proprio per imprimere nell’animo del bambino una visione di speranza nei confronti delle problematiche della vita. Quindi la favola appartiene all’insieme degli eventi educativi e formativi.

Nella cultura contemporanea il racconto solitamente raggiunge il bambino sotto la forma del cartone animato o del film, meno frequentemente sotto la forma della narrazione vocale. La parola “favola” deriva da affabulare, dar voce, “parlare”; quindi nasce proprio come una narrazione vocale. Raccontare le favole al bambino è un’esperienza di profonda relazione tra genitore e figlio in quanto, in quella situazione relazionale, non c’è solo il racconto in sé stesso, ma anche la presenza interessata del genitore che racconta con la sua voce: ed in fondo il più bel suono che possiamo ascoltare è la voce umana perché ci rassicura e ci tranquillizza. Non dimentichiamo che il bambino, quando si trovava nell’utero della madre, sentiva le vibrazioni di quella voce.

La favola, vista attraverso un film o un cartone animato, va valutata nell’insieme armonico espresso nel suo contenuto (come dicevamo prima, per l’equilibrio tra elementi emotivi positivi e negativi), ma anche per l’atmosfera che quel racconto riproduce e che guida il bambino a vivere certi stati d’animo. Va sottolineato che la nostra mente, come dice Hillman, è immaginale cioè funziona per immagini. Il racconto filmico ha un potere particolare e quindi è bene che il bambino non sia lasciato solo di fronte alle immagini che percepisce o, peggio, che sia esposto ad immagini cariche di inquietudini.

Detto questo, passiamo a sviluppare una riflessione su una favola in particolare. Prima parlavamo dell’equilibrio tra elementi positivi e negativi e l’epilogo a cui questo equilibrio porta. Per esempio in uno schema classico troviamo l’incontro con il drago, che rappresenta l’insieme delle paure dell’ignoto e dell’essere divorati. Il personaggio maschile uccide il drago, che simbolicamente rappresenta il saper trasformare l’elemento distruttivo in sé stesso. Quando invece la fanciulla bacia il drago e questo bacio lo trasforma, da una parte viene rappresentato il potere dell’amore e dall’altra suggerisce l’importanza di saper incontrare ciò che dentro di noi ci fa paura.

Pensiamo alla favola di Cenerentola, una tra le più belle favole mai scritte, capace di insegnare ancora molto oggi, perché in fondo rappresenta la storia di chi non si sente degno della regalità della vita, ma che ad un certo punto ritrova in sé stesso la magia di una fede in sé dimenticata. In fondo le sorellastre che la denigrano rappresentano quei pensieri auto denigratori (” io non sono capace” , “io non valgo”….) che sono proprio “sorellastri”, ossia non sono “fratelli, amici”. Però è vero anche che Cenerentola nel racconto si identifica con quella visione di sé, come spesso facciamo anche noi. Questo aspetto non va confuso con l’autocritica, che in sé non dovrebbe mai essere distruttiva in quanto ha lo scopo di promuovere un miglioramento.

Cenerentola riesce a trovare l’abito giusto, cioè il giusto rapporto con sé stessa: il vero significato di bellezza è proprio l’armonia del rapporto con sé stessi. A quel punto può incontrare il principe, ossia il principio di una vita nuova. Il principe azzurro (colore che ricordiamolo è simbolo del cielo) simboleggia il principio trascendente, cioè ciò che trascende tutte le parzialità, tutte le finitezze che incontriamo nella vita, e in cui spesso ci identifichiamo. Quindi Cenerentola non è una donna che viene emancipata dall’uomo, in quanto è lei che si è nobilitata e che di conseguenza viene riconosciuta dal principe. Le favole vanno interpretate non in modo concretistico ma in chiave simbolica.

L’accedere al linguaggio simbolico introduce il bambino ad una visione che trascende la percezione immediata che ne limita le capacità riflessive. Ecco che la favola diviene la palestra per lo sviluppo di un pensiero sempre più evoluto.

BY: Irene Barbruni

Disturbi alimentari nell’adolescenza
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1.cosa sono i disturbi alimentari nell’adolescenza ?

In generale i disturbi alimentari riguardano il persistere di comportamenti legati ad un’assunzione di cibo errata che si ripercuote negativamente, ed in modo significativo, sulla salute fisica e sulla vita quotidiana e sociale dell’adolescente.

  1. quali sono i disturbi noti e come si manifestano? Direi che i più noti sono l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa. La prima è caratterizzata da una restrizione nell’assunzione di cibo, un basso peso corporeo, una esagerata paura di ingrassare e una percezione del proprio peso non aderente alla realtà. La bulimia invece è caratterizzata dall’assunzione di alte quantità di cibo in poco tempo accompagnate dalla sensazione, durante gli episodi, di non avere il controllo sul proprio comportamento. Inoltre, sono presenti condotte finalizzate a smaltire le calorie ingerite in eccesso come utilizzo di lassativi o attività fisica.
  2. da che età possono iniziare le problematiche? In genere questo tipo di problematiche insorge tra i 10 e i 30 anni ma si è osservato un picco tra i 14 e i 18 anni.
  3. come possono accorgersene i genitori? Osservando le abitudini alimentari dei figli sicuramente ma anche il tono dell’umore perché questo tipo di disturbi è associato a tono dell’umore depresso, ansia, bassa autostima. Inoltre soprattutto nell’anoressia nervosa si osserva spesso una tendenza al perfezionismo eccessivo in ambiti come per esempio lo sport o la scuola anche se in alcuni casi si può osservare un peggioramento della performance scolastica. Spesso i genitori si accorgono di un disagio nel momento in cui osservano un isolamento sociale e una trascuratezza nelle amicizie associato ad un’attenzione eccessiva verso il peso corporeo e la forma fisica.
  4. qual’e’ l’approccio corretto che dovrebbero avere? Sicuramente il dialogo con il proprio figlio o figlia rimane uno strumento insostituibile; i genitori devono sempre cercare di essere presenti e pazienti anche quando la risposta può sembrare di chiusura. Inoltre, chiedere aiuto allo specialista qual’ora si abbia un dubbio.
  5. quali sono le complicanze dei disturbi alimentari? Sul piano fisico abbiamo tutte le conseguenze che riguardano la non assunzione corretta dei nutrienti necessari e il frequente ricorso a metodi di compenso eliminativi (come l’uso eccessivo di diuretici e lassativi, vomito autoindotto e ricorso ad attività fisica compulsiva). Vanno evidenziate soprattutto le ripercussione sul piano relazionale e sociale; infatti chi soffre di disturbi alimentari spesso vive una profonda solitudine e un forte disagio nel contatto con gli altri. Questo perché le problematiche relative al comportamento alimentare sono strettamente legate all’immagine di sé e alla propria individualità.
  6. possono portare alla morte del paziente? In alcuni casi estremi si ma bisogna considerare che spesso il quadro clinico è aggravato da altre patologie o psicopatologie.
  7. la morte può essere secondaria ad un gesto anticorservativo, o in base alle sue esperienze è solitamente legato alla patologia stessa? Purtroppo il rischio di un gesto anticonservativo esiste. Però bisogna anche considerare che un disturbo che insorge nell’adolescente e, quindi in un soggetto in crescita, se affrontato in modo tempestivo è superabile. Le statistiche ci dicono che i casi che si cronicizzano variano dal 10 al 20 % e di questi solo i più gravi portano a conseguenze estreme sulla salute. Nella mia esperienza clinica ho potuto osservare che chi arriva nello studio dell’analista per affrontare tali tematiche ha già fatto un grande passo verso il superamento della propria patologia. Certo il percorso di cura può essere difficile.
  8. la cura, prospettive a breve e a lungo termine La cura deve comprendere sia l’aspetto fisico che psicologico quindi è importante il lavoro d’equipe di più professionalità per poter affrontare una problematica che si manifesta sulla salute fisica, ma trova le proprie radice nei vissuti profondi del paziente. Il lavoro psicoterapico ha un peso importante e deve mirare ad affrontare quel disagio profondo che il sintomo nasconde. Infatti, il disturbo alimentare non è dovuto tanto ad un desiderio di apparire più magri o belli, come spesso erroneamente si pensa, ma nasce dal desiderio profondo ed impetuoso di dominio sulla propria natura. Non a caso colpisce frequentemente le donne della società occidentale contemporanea, dove la naturalità dell’essere femminile è vista come un limite alla propria libertà. Come ho detto prima la prognosi è nella maggior parte dei casi buona, in quanto ci troviamo in una fase della vita in cui il cambiamento trova un terreno fertile. Molto peso ha la cura tempestiva in quanto sappiamo che più il sintomo si cronicizza (cioè persiste nel tempo) e più è difficile da affrontare e superare. Nella maggior parte dei casi vi è una remissione completa della malattia.
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