BY: Irene Barbruni
Essere gentili per vivere meglio
Diversi studi hanno dimostrato che la gentilezza ha un effetto sulla qualità della vita delle persone; essere gentili ci rende meno stressati e addirittura più longevi.
In particolare uno studio realizzato da due psicologhe sociali, Jennifer L. Trew e Lynn E. Alden, ha dimostrato che i comportamenti generosi alleviano l’ansia in particolar modo quella sociale definita anche “fobia sociale” (la paura intensa e pervasiva legata ai contesti sociali). Infatti il gruppo di persone che hanno aumentato le azioni gentili nei confronti di amici e parenti hanno avuto un beneficio sulla propria ansia e di conseguenza la loro vita sociale è migliorata.
Ma se tutto si riduce ad un atto esteriore la cosa non può dare esiti favorevoli. Solo se la gentilezza è emanazione di una visione della vita più serena, attraverso cui si è capaci di accettare le diverse difficoltà che incontriamo, allora ciò può aiutare a vivere meglio. La ricerca delle due studiose citate, non mette in evidenza questa differenza, quindi è bene specificarlo. In molte ricerche la psicologia tende ad osservare il visibile, cioè il comportamento, e a trascurare la valutazione dell’invisibile, cioè i vissuti profondi che animano il comportamento.
La vera ricetta per vivere meglio non è tanto essere gentili, come atto esteriore, ma trovare la capacità di vedere con gentilezza la realtà che ci circonda, diventare più saggi, capaci di accettare e trasformare le varie situazioni in occasioni autentiche per la propria evoluzione personale ed interpersonale. Ma solo se siamo capaci di conoscere il nostro mondo interiore ciò diviene possibile. “Conosci te stesso” ammoniva Socrate. Cominciare quindi da se stessi, dal conoscersi e dal modificare ciò che ci porta alla contrapposizione con gli altri, dalla quale sviluppiamo una visione persecutoria. Poiché abbiamo bisogno di essere rispettati, ma anche di rispettare, così come abbiamo necessità di essere trattati in modo giusto e a nostra volta di trattare gli altri in modo giusto: in altri termini l’esercizio delle capacità etiche contribuisce a farci stare bene perché sentiamo di aver fatto le cose che si accordano alla nostra profonda esigenza di contribuire a costruire un mondo più giusto. Alla fine l’essere umano è una creatura etica, cioè sente il bisogno di fare il bene e di riceverlo: ciò è la fonte del ben-essere.
BY: Irene Barbruni
Il rapporto con gli animali
Il rapporto tra uomo e animale ha origini molto antiche. Mentre in passato esso era nella maggior parte dei casi legato soprattutto da una utilità del rapporto (come aiuto nel lavoro agricolo o come risorsa alimentare) oggi esso è legato, per lo meno nella vita cittadina, principalmente da valore affettivo-relazionale. Si stima che in Italia siano almeno 60 milioni gli animali domestici: i più numerosi sono pesci ed uccellini, cani, gatti e altri piccoli animali come i roditori. A partire dagli anni sessanta molti sono gli studi che hanno riguardato gli effetti sull’uomo del contatto con l’animale. Nello specifico è stato confermato che nei soggetti con difficoltà di relazione, attraverso il contatto con un animale, veniva migliorata la propria apertura verso gli altri. Da questi studi è poi nata la pet-terapy, ossia l’utilizzo dell’animale nell’assistenza di persone con diverse difficoltà.
Quindi il contatto con l’animale ha un beneficio per la salute fisica e psicologica.
Riflettendo sulla vita quotidiana nelle città, il bisogno di avere un animale vicino soddisfa la necessità che l’uomo ha del contatto con la natura. In un ambiente cittadino, in cui vi sono poche aree verdi, emerge forte l’esigenza di contatto con la natura, quindi questo viene compensato dall’avere piante e animali in casa.
Attraverso il rapporto con l’animale, nel rispetto delle sue caratteristiche, si impara ad entrare in rapporto con il principio di realtà, ossia con la logica naturale della vita. Spesso il malessere psicologico può nascere proprio dall’incapacità di accettare i dettami della vita. Gli animali invece hanno una grande capacità di adattarsi. Quindi, attraverso una non manipolazione sull’animale possiamo avere quel contatto con la vita così importante per il nostro benessere. Ci sono animali che sono da millenni con l’uomo e che sono quindi abituati a tale rapporto (come ad esempio cani e gatti) e altri meno.
Importante è considerare le esigenze per cui una persona si avvicina all’animale, a volte oltre al bisogno di contatto con la natura, di cui abbiamo parlato, esiste anche il bisogno di scambio affettivo. In alcuni casi essi colmano un vuoto di rapporto. Il cane per esempio è paziente, ha un affetto incondizionato per il padrone cioè egli non considera lo status sociale, entra in rapporto affettivo al di là di tutto e questo è terapeutico di per sé.
Il legame con l’animale, quindi, ci fornisce quel contatto con la natura di cui, soprattutto in un’architettura cittadina fatta di cemento e macchine, abbiamo profondamente bisogno.
BY: Irene Barbruni
Le proto-emozioni o emozioni primarie
L’emozione è la risonanza immediata ad un evento; tende ad esprimersi attraverso un atto in quanto è istintiva e primordiale. Spesso nella cultura contemporanea si tende a confondere le emozioni con i sentimenti. Anche se spesso utilizziamo lo stesso aggettivo per definire sia un’emozione che un sentimento, in realtà sono due fenomeni molto differenti. Nello specifico possiamo distinguere tre diversi gradi di emozioni (Arieti): le protoemozioni (tensione, appetito, paura, rabbia e soddisfazione), le emozioni di secondo grado (ansia, collera, desiderio, sicurezza) e quelle di terzo grado (tristezza, amore, odio e gioia) che possiamo definire sentimenti.
Le protoemozioni sono fondamentali per la sopravvivenza in quanto sono forze motivazionali fondamentali e anche se non vengono sperimentate esclusivamente a livello somatico (come le sensazioni per esempio di fame e di sete), in esse è presente la componente corporea rilevabile da una serie di cambiamenti che coinvolgono tutto il corpo o comunque la maggior parte di esso. La componente cognitiva è minima per quanto riguarda le proto emozioni, ma diventa più importante nelle emozioni di secondo grado e terzo grado. E’ proprio nel momento in cui entra in gioco l’aspetto cognitivo e l’aspetto delle immagini simboliche che possiamo parlare di sentimenti. Possiamo definire il sentimento quella risonanza affettiva e complessa che accompagna gli stati d’animo di una persona in relazione agli eventi esterni ed interni. E’ sempre importante ricordare che tutti noi nasciamo nel grembo materno e quindi dentro la relazione con una madre; quindi l’essere umano, avendo origine da una relazione, deve sempre essere immerso in un mondo relazionale.
Ciò che differenzia il sentimento dalle emozioni è quindi la complessità; i sentimenti sono composti si dall’aspetto emotivo, ma anche influenzati dalle idee, dai ricordi e dagli stati d’animo soggettivi. Mentre l’emozione è una risonanza immediata ad un evento, il sentimento trascende la relazione soggetto-oggetto ed è suscitato dal modo attraverso cui la soggettività vive la relazione/situazione che si instaura tra lui e il suo mondo.
Di per sé le emozioni sono neutre, ossia non sono né positive né negative, ma l’evoluzione che può avere un’emozione, a seconda di come viene gestita dal soggetto, può sviluppare un risvolto positivo o negativo: ossia verso l’evoluzione o la regressione della personalità. Facciamo un esempio: la rabbia. Essa è indispensabile perché permette la difesa dell’individuo, consente di dire di no e di proteggersi da ciò che può essere nocivo. La rabbia ha la caratteristica di disgregare l’interezza della psiche e quindi ostacola la riflessione e le capacità sintetiche in generale. Chi vive l’emozione della rabbia è incapace in quel momento di staccarsi dalla situazione. Ecco quindi perché è errato abituarsi a sfogare la rabbia, è invece importante imparare a contenerla. Chi si abitua a sfogare non allena le capacità di contenimento le quali permettono la riflessione, attitudine fondamentale al fine di un’evoluzione positiva della rabbia (come di tulle le altre emozioni). Quando la rabbia è contenuta e portata su un piano superiore evolve in determinazione e nella capacità di decidere. Invece, nell’evoluzione negativa avremo la manifestazione di aggressività introvertita (depressione, forme di distruttività autolesiva) e aggressività estrovertita (atteggiamenti distruttivi a volte mascherati).
Quando pensiamo invece al sentimento della rabbia, meglio definito da altri aggettivi come per esempio collera, diventa fondamentale l’idea che è celata dietro tale vissuto. Nella vita di una persona è chiaro che le emozioni di vario livello si intrecciano e non sono mai così chiaramente distinte come nell’elenco che è stato riportato sopra. Nella quotidianità è importante imparare a non essere totalmente preda delle proprie emozioni e cercare di riconoscerle e contenerle per facilitarne l’”evoluzione positiva”, a cui abbiamo accennato. In generale possiamo dire che l’aspetto riflessivo, il quale ci consente di conoscere le idee e le immagini che sottendono i sentimenti, ci stimola a conoscere meglio noi stessi per trovare il giusto equilibrio tra le varie esperienze della nostra vita.
BY: Irene Barbruni
Perché sogniamo
Durante il sonno il corpo si riposa interrompendo il movimento mentre il cervello, durante alcune fasi chiamate R.E.M. (Rapid eye movement), torna ad essere attivo proprio come nello stato di veglia; è in questa fase, caratterizzata da un movimento rapido degli occhi, che si sogna.
Dalle numerose ricerche della neurofisiologia sappiamo che sognare è necessario. Infatti, si è visto che alcuni volontari, svegliati non appena iniziava in loro la fase in cui si sogna più intensamente, tendevano successivamente a compensare sognando di più. Altri ricercatori hanno messo a confronto due gruppi di persone: uno veniva svegliato prima di poter sognare, mentre l’altro dopo aver sognato. Nonostante il numero di ore di sonno fossero uguale le persone che non avevano sognato tendevano a sviluppare uno stato di malessere psicologico fino ad arrivare a forme depressive.
Il motivo e lo scopo del sogno è ancora oggetto di studio. Secondo alcuni ricercatori, come il Jonathan Winson, il sogno risulta essere un processo di memoria fondamentale per i mammiferi. Infatti gli studi che hanno riguardato il ritmo theta hanno visto che esso è presente durante la fase REM così come nei momenti di particolare importanza per la sopravvivenza di alcuni animali, come per esempio l’esplorazione nel ratto e il comportamento predatorio nel gatto. Nel corso del sonno REM vengono integrate le informazioni recenti con le esperienze passate per fornire una strategia di comportamento in continua evoluzione. Questo aspetto spiegherebbe anche perché nei neonati la durata del sonno REM è di 8 ore al giorno, mentre all’età di tre anni si riduce a tre ore al giorno. È come se avessero bisogno di elaborare, ed integrare, quante più informazioni possibili relative al comportamento umano.
Fin dall’antichità veniva dato al sogno una particolare importanza e antiche popolazioni hanno cercato di interpretare i simboli onirici attribuendo un valore predittivo ai sogni (come gli egizi, i Romani, Greci e come nel Vecchio Testamento Giuseppe, figlio di Giacobbe, che interpreta i sogni alla corte del faraone). Sigmund Freud considerava i sogni materiale fondamentale per l’indagine della psiche; nello specifico pensava che il linguaggio simbolico del sogno fosse il modo con cui l’inconscio cerca di comunicare alla coscienza i desideri e impulsi rimossi.
Jung, diversamente da Freud, fornisce ai sogni un funzione che va oltre la semplice espressione di desideri o paure inconsce. Infatti i simboli che emergono nei sogni sono il risultato di un dialogo tra la coscienza e l’inconscio. Il simbolo (la parola deriva dal greco simballo che significa mettere insieme) è il risultato, non solo del dialogo con i contenuti personali, ma anche con i contenuti più primitivi (quelli che Jung chiama archetipi). In altre parole, la coscienza propone il tema del sogno, l’inconscio lo svolge legandolo alla conoscenza storica presente nella psiche. Questa visione della funzione del sogno è stata confermata dallo studio di J.Winson citato precedentemente. Nel sogno si risveglia un’intelligenza superiore. Ci sono degli artisti per esempio che dicono che hanno sognato le loro opere.
Nell’epoca contemporanea le ore di sonno e la qualità del sonno, stanno gradualmente diminuendo. Sempre più adulti e ragazzi stanno riducendo il tempo dedicato al riposo notturno e forse si è persa in parte la consapevolezza dell’importanza di tale momento. Per la nostra salute psico-fisica, invece, il sonno è fondamentale. Per sintetizzare possiamo dire che il sogno, in particolare, è un racconto su noi stessi di cui noi abbiamo bisogno, perché dentro la narrazione c’è quell’armonia a cui noi aneliamo. Infatti i racconti e i miti sono stati nella storia dell’uomo i primi strumenti di conoscenza prima ancora della filosofia, anzi hanno ispirato le varie filosofie. Forse oggi si dovrebbe porre maggiore importanza alle immagini interiori del sogno, sminuendo invece altre fonti più “artificiali” di immagini. Perché le immagine che provengono dal mondo di fuori devo potersi integrare con le immagine che custodiamo nel nostro profondo.
BY: Irene Barbruni
BY: Irene Barbruni
Le vacanze estive: il tempo dedicato al riposo
L’abitudine di riposarsi, soprattutto nel periodo più caldo dell’anno, ha radici lontane e nel secolo scorso è stato anche sancito, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, dal diritto alle ferie retribuite (in Italia nel 1927 dalla Carta del Lavoro e successivamente dalla Costituzione).
Il periodo estivo è caratterizzato, al di là delle possibili e numerose eccezioni, da una pausa più o meno lunga dalla scuola per i bambini ed i ragazzi e dal lavoro per gli adulti. Spesso l”evasione” dalla propria città accompagna il momento del riposo in cui le persone sentono il bisogno di cambiare i propri ritmi e sperimentare una quotidianità differente.
Dal punto di vista psicologico, spesso anche solo l’idea delle vacanze aiuta a sopportare meglio lo stress della vita lavorativa. Sappiamo che oggi si lavora di meno rispetto ad alcuni decenni fa, ma si osserva una maggior correlazione tra lavoro, ansia e percezione di stress. Lo stress percepito dal lavoratore riguarda sia chi svolge un ruolo esposto, quindi percepisce l’impossibilità di far fronte a tutte le responsabilità a cui è sottoposto, sia chi ha un impiego meno impegnativo rispetto alle capacità individuali. Ecco che le vacanze, quindi il momento di “evasione” dagli impegni lavorativi, diventano maggiormente carichi di aspettative: il periodo di ferie diventa prezioso per sperimentare uno stile di vita differente che permetta di rigenerare corpo e mente.
Affinché sia un periodo di vero riposo rigenerante, occorre che si possa distaccare dalle solite modalità. In un’ era consumistica le vacanze sono certo distrazione dal lavoro, ma non dal consumismo; per cui anche durante le ferie le persone tendono infondo a fare le stesse cose, e ripetere lo stesso stile di vita. L’idea di un distacco la ritroviamo già in un testo antico come la Bibbia: “Il settimo giorno Dio si riposò”. L’anno sabbatico era proprio il settimo anno in cui era saggio cercare una temporalità diversa, più rispondente alle esigenze delle spirito, meno vincolata dalla prepotenza dei bisogni economici e materiali. Qui sta la differenza: la vera vacanza è proprio quella che tiene conto delle esigenze psicologiche e spirituali. Cercando quindi di ritrovare, nella meta e nelle attività che si svolgono, quelle esperienze di sé che aiutino a recuperare le energie fisiche, psicologiche e spirituali profuse nell’attività economica del lavoro. Quindi è saggio certo divertirsi spensieratamente, ma lo è ancor di più cercare di ritrovare il proprio centro, altrimenti la vacanza diviene un altro tempo entropico, cioè un tempo che disgrega la personalità.
Quindi buon divertimento e buon riposo nella misura e nella ricerca del proprio equilibrio.
BY: Irene Barbruni
Rapporto di coppia: unione, gelosia e reciproca conoscenza
Solo attraverso un rapporto che diventa progressivamente più intimo si rivelano parti della persona altrimenti occultate. Quando un rapporto di coppia procede verso la progressiva intimità e conoscenza reciproca coincide con l’evoluzione delle due singole persone coinvolte nel rapporto. Naturalmente nella relazione di coppia non vi è soltanto un problema di conoscenza, certo richiede ai due soggetti la capacità di saper leggere ed interpretare la realtà complessiva dell’altro, il che comporta necessariamente un ampliamento della propria coscienza. Ma la relazione d’amore promuove uno degli atti fondamentali dell’essere umano: il desiderio di offrirsi all’altro, e ciò contribuisce a sviluppare l’evoluzione etica al centro della visione del mondo. A volte i problemi possono sorgere proprio quando l’evoluzione dei due non è sincronica, cioè un individuo evolve e l’altro no, oppure quando l’evoluzione è divergente, ossia ognuno sviluppa esigenze diverse.
Questi spunti riflessivi appena accennati vogliono sottolineare quanto il rapporto di coppia sia un’esperienza profonda della vita delle persone, anche se a volte non ne abbiamo la giusta consapevolezza. Infatti il rapporto di coppia subisce, come tutte le realtà psicologiche, i dettami della cultura di riferimento, cioè di quella cultura che permea la società. La cultura contemporanea mette al centro dell’esistenza gli aspetti ludico/edonistici; di conseguenza spesso nella vita di coppia si riconoscono come momenti migliori solo quelli che producono piacere. Tutto ciò non aiuta i due individui ad affrontare anche quelle situazioni più complesse, che mettono maggiormente alla prova le capacità relazionali dei due individui.
Un rapporto di coppia è un cammino spesso difficile che i due percorrono insieme, all’unisono. “Unisono” è una parola chiave in quanto questo spirito comune, che i due trovano, racchiude in sé la vera motivazione della coppia: la comunione dei due. Jung parla di mysterium coniunctionos cioè il mistero del congiungimento degli opposti. Questo concetto è mutuato dagli studi sul simbolismo dell’alchimia. Infatti, l’esperienza d’amore spesso viene descritta come un profondo sentimento di reciproca appartenenza “ti sento in me come io mi sento in te”. Quindi un processo che tende ad unire profondamente i due. Ed è proprio la mancanza del sentimento di appartenenza che provoca i timori, le ansie e spesso le angosce relazionali proprio perché nel rapporto di coppia ciò che si cerca è il realizzarsi dell’unione. La gelosia, intesa come percezione della non completa comunione, ha un suo fondamento proprio in tale vissuto. Ma la gelosia è un sentimento che si colora di un altro aspetto: l’appartenenza intesa come dominio, come cosa che ci appartiene. Perché come Jung ricorda, nell’amore è nascosto il demone del potere; potere come possesso. Infatti l’amore è il dono di sé verso l’altro, è l’affidarsi all’altro e questo spinge l’altro a percepire il potere che gli è attribuito. Quando un individuo vive questo potere, se rimane catturato da questo piacere, non risponderà con lo stesso linguaggio oblativo che ha ricevuto, ma con la gestualità di chi esercita il potere come dominio sull’altro. Allora certe gelosie estreme nascono dalla insubordinazione di questo tipo di relazione dove uno possiede l’altro. Jung ben spiega come là dove aumenta il potere diminuisce l’amore e viceversa.
Quando in questa dinamica amore/potere, il potere prende piede il rapporto di coppia non è più il luogo elettivo di realizzazione di sé, ma luogo di scontro. E’ chiaro allora che nella relazione d’amore la persona è sollecitata a migliorare sé stessa e ad affrontare i suoi fantasmi. Solo se si libera delle proprie immaturità ed incongruenze interiori sarà capace di percorre quello stupendo luogo che è l’amore di coppia.
- 1
- 2