BY: Irene Barbruni
Il pianto è una reazione emotiva molto forte che coinvolge tutto il nostro corpo e, come la risata, è tipicamente umano. Nel periodo infantile e nelle donne gli episodi di pianto sono molto più frequenti che non negli uomini adulti. Prima dell’adolescenza non si riscontrano differenze tra maschi e femmine, quindi è culturalmente che il pianto è stato associato ad una debolezza della personalità e quindi poco tollerato nell’immagine del maschile.
Il pianto è il primo linguaggio che il neonato utilizza; egli nasce totalmente dipendente dalle cure materne ed è quindi fondamentale per la sua sopravvivenza richiamare l’attenzione di chi può accudirlo. Alcune ricerche hanno evidenziato come il pianto abbia un certo tipo di suono a seconda della lingua parlata dalla madre; da ciò gli studiosi hanno dedotto che il bambino imiti i suoni che ha sentito quando era ancora nel grembo materno. Emerge quindi la stretta ed intima relazione tra nascituro e madre. Questo ci dice che la comunicazione non è solo un trasferire da un punto all’altro un contenuto, ma è esperienza di comunione tra i due.
Quindi per il neonato il pianto è la prima modalità di espressione e precede il linguaggio che compare dopo molti mesi. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che, anche dal punto di vista evolutivo, il pianto possa aver preceduto l’utilizzo del linguaggio. A tale proposito il neurologo inglese Michael Trimble, nel suo libro intitolato “Why Humans Like To Cry” spiega che il piangere è un passo fondamentale nell’evoluzione dell’uomo. Trimble afferma che esso avrebbe anticipato il linguaggio parlato e, proprio attraverso di esso, gli uomini hanno iniziato a mostrare le proprie emozioni. Va aggiunto che, attraverso il pianto, vengono mostrati i sentimenti che sono espressione della realtà interiore. Il neurologo spiega che il pianto è collegato all’auto consapevolezza dell’uomo e quindi allo sviluppo dell’empatia verso gli altri e più precisamente la compassione (patire con). L’essere umano piange per un’emozione o meglio ancora quando vive un forte sentimento.
Nella società odierna il pianto è in realtà poco tollerato poiché è visto come segno di debolezza e di mancanza di capacità di sopportare la realtà. In un certo senso abbiamo perso il significato del pianto in alcune situazioni. Ad esempio un tempo esistevano le “piagnone”, chiamate anche prefiche (nell’antica Roma la donna messe a capo di quelle pagate per piangere), che erano delle donne che venivano pagate per piangere ai funerali. All’epoca spesso la morte arrivava in modo improvviso e non si conoscevano le cause poiché la scienza non forniva le spiegazioni che oggi invece propone. Quindi l’evento della morte era più vicino alla superstizione e legato ad antiche tradizioni pagane. La cattiva sorte, quindi, che diventava causa di dolori improvvisi veniva “esorcizzata” ricordando la fragilità della condizione umana, ed il pianto rituale e collettivo era un modo di sostenere la paura che la morte suscitava.
Non solo oggi il pianto ha perso la sua importanza, ma anche il sentimento della tristezza è considerato negativo, essa deve essere “scacciata via”. In realtà la tristezza è importante perché è testimonianza della nostra capacità di affrontare la sofferenza, di “patirla” quindi viverla. Trattenere il pianto, se accompagnato da una desensibilizzazione di sentimenti come la tristezza e la compassione non ci rende più forti, ma meno evoluti e soprattutto meno consapevoli. Infatti spesso il pianto è “liberatorio” e trasforma il sentimento di tristezza in sorriso e gioia. Essere in contatto con il proprio dolore è segno di forza ed equilibrio interiore; anche perché nel dolore si cela una sapere più profondo.
Il pianto è tipicamente umano, ma in ambito botanico ritroviamo il ricorso a questo termine in alcune situazioni. Ad esempio quando in primavera si potano le viti è chiamata lacrima la linfa che può uscire dal taglio. Questa lacrima è considerata fondamentale poiché significa che la pianta si sta preparando a riprendere la propria produzione di frutti. Quindi simbolicamente la lacrima è associata ad un momento di trasformazione, di mutamento prima di una nuova fioritura. Questa immagine non solo è segno di una profonda fede nella vita e nei suoi eventi, ma ci fa comprendere quanto proprio una visione più poetica ci aiuti a leggere con più profondità gli accadimenti che viviamo, in particolare quando sono motivo di sofferenza. Quindi viviamo il pianto per quel che è: un momento di partecipazione ad un evento doloroso, ma che ci introduce in una visione più profonda.