BY: Irene Barbruni
E’ trascorso un anno circa dall’inizio di un’emergenza sanitaria che non ci aspettavamo. Senz’altro le ricadute psicologiche di questo periodo storico hanno notevoli differenze individuali, poichè la pandemia non ha certo colpito tutti allo stesso modo. C’è chi ha perso delle persone care, c’è chi vive in modo più o meno importante i problemi economici conseguenti, chi si è ammalato. Senza voler entrare nelle molteplici conseguenze che tale situazione può avere avuto in casi specifici, cercherò di descrivere ciò che accade a livello psicologico.
Importante è capire il tipo di atteggiamento che abbiamo di fronte a situazioni difficili e dolorose della nostra vita. Di fronte al dolore possiamo rimanere intrappolati, oppure trovare la capacità trasformativa che in esso esiste. Riuscire a conservare il sentimento della speranza diviene fondamentale. Un sentimento, quello della speranza, tra i più importati dell’essere umano. Sperare vuol dire attendere fiduciosamente un futuro migliore, ossia, nonostante il dolore, la paura e la sofferenza, non perdere quell’intuizione che anche in ciò che non comprendiamo esiste un senso che lo rende sopportabile.
La speranza permette di intravedere un futuro prossimo in cui il dolore è destinato ad affievolirsi. Nella speranza ritroviamo il dialogo con la situazione contingente cercando quella capacità trascendente che abbiamo in noi e che ci permette di non identificarci nel dolore e nella sconfitta. La speranza è alla fin fine un’intuizione del Bene; nella filosofia di Kant troviamo l’idea che nel genere umano vi è una naturale ed innata predisposizione alla realizzazione delle intuizioni prime del Bene.
La speranza è un’esperienza psicologica essenziale e ne possiamo trovare una descrizione esauriente in tante immagini poetiche come quella di Emily Dickinson: “La speranza è qualcosa con le ali, che dimora nell’anima e canta una melodia senza parole, e non si ferma mai”. E’dunque un sentimento più che un concetto mentale. Possiamo definirla come uno stato d’animo che avvolge la personalità da un pathos che la tiene sollevata dal dolore e la protegge dall’annichilimento. Quindi è uno stato d’animo che va protetto, poiché il suo inquinamento è letale. A livello psicologico ed esistenziale è proprio la negazione della speranza a determinare l’angoscia.
E’ giusto differenziare tra desiderio e speranza in quanto il primo è legato alla volontà, la seconda è una condizione di attesa che non vuole imporre nulla alla realtà. Essa sa attendere quel Bene che verrà nel modo in cui si presenterà. C’è anche differenza tra fede e speranza. La prima è la certezza di cose di cui si ha speranza, mentre la seconda è l’attesa viva e fiduciosa in un bene futuro di cui comunque non si ha certezza.
Quindi è fondamentale che si comprenda l’occasione di crescita interiore che una situazione storica difficile e dolorosa porta in sé. L’atteggiamento e le risorse che possiamo mettere in atto possono cambiare radicalmente a seconda del nostro stato d’animo: se è di speranza o di chiusura nella difficoltà. Una frase di Victor Frankl può ben riassumere ciò che è stato detto: “Se non è in tuo potere cambiare una situazione che ti reca dolore, potrai sempre trovare l’attitudine attraverso la quale affrontare tale sofferenza.”
Coltiviamo quindi l’attitudine alla speranza, aiutiamoci a custodire questo sentimento primordiale ed essenziale che anima la nostra vita. Quando una gemma nasce lo fa senza rumore, prima non c’è, poi, all’improvviso è lì, nonostante il freddo, che essa, annuncia, sta per passare.