BY: Irene Barbruni
La nostra mente è immaginale ossia tutto viene tradotto in immagini, come ampliamente spiegano autori come Jung e Hillman. Una semplice dimostrazione di questa caratteristica della mente la possiamo trovare nel fatto che parole e pensieri riusciamo a comprenderli meglio nell’istante in cui li traduciamo in una immagine. È stato anche osservato che i bambini con grave dislessia non hanno difficoltà a leggere se imparano una scrittura ideografica, come quella cinese. Gli studi di Jung, sulle immagini archetipiche, giungono a mostrare che le idee molto complesse sono più facilmente fruibili proprio quando sono rappresentate da immagini. In fondo gli archetipi, che costituiscono gli elementi base della mente, sono proprio immagini essenziali per il suo funzionamento. Attraverso gli archetipi noi comprendiamo e decodifichiamo la realtà visiva e concettuale che ci circonda. Platone chimava questo il mondo delle idee pure, mentre un altro grande filosofo, Kant, sosteneva la presenza nella mente di elementi concettuali/immaginali che chiamava gli a priopri i quali fungono da decodificatori della realtà. Quindi la mente funziona per immagini ed è di conseguenza ricca di immagini, essa possiamo dire “si nutre di immagini”. Ed è quindi necessario vagliare quali immagini vanno ad interloquire con le quelle già esistenti nella nostra mente.
Oggi, più che in altre epoche, siamo raggiunti da molteplici immagini in modo quasi continuo, dalle quali la mente umana è particolarmente sensibile ed impressionabile, come si è detto. Questa caratteristica è sfruttata dagli autori degli spot pubblicitari che puntano molto su questo aspetto per condizionare e veicolare le scelte dei consumatori.
Le immagini provengono da due direzioni: dall’interno della psiche e dall’esterno (prevalentemente mass media); oggi le immagini esterne prevaricano quelle della psiche. L’immagine esterna interagisce con quella interna, ma se essa trova solo il riscontro di immagini esterne interiorizzate precedentemente in modo irriflessivo, sono quest’ultime che vanno a costituire la griglia entro cui interpretare la realtà. Questo processo di acquisizione irriflessiva, priva di un metodo di gerarchizzazione, lo possiamo chiamare inquinamento mentale. Attraverso questo processo avviene l’omologazione del singolo individuo alla cultura dominate.
Alcune ricerche hanno evidenziato che il cervello è 60.000 volte più veloce ad elaborare le immagini rispetto ad uno scritto. Altri studi confermano che la presenza di un’immagine sui social media aumenta di molto i “clic” e quindi l’attenzione delle persone. Sappiamo, inoltre, che la sola immagine ha il potere di influenzare il lettore: ad esempio quando un autore vuole parlare male di un determinato politico, utilizza una “brutta” foto di quest’ultimo o viceversa se il messaggio vuole essere positivo.
Particolare è la fruizione delle immagini nei minori di 6 anni in quanto non sono in grado di cogliere la differenza tra ciò che è reale e ciò che invece risulta essere costruito. Nei bambini piccoli il pensiero irreale e magico non è del tutto distinto da quello reale. Quindi le immagini anche legate ad una finzione possono essere spesso equivoche. Ciò che sappiamo è che nei bambini la sovraesposizioni di immagini shock induce comportamenti aggressivi, insensibilità alla sofferenza e alla violenza. Se teniamo conto delle numerose immagini che un bambino vede anche solo camminando per la strada, oppure in tv e nel mondo virtuale ci accorgiamo dell’invasione visiva che rischia di frastornarlo e turbarlo.
Inoltre bisogna considerare che, per esempio, le immagini che troviamo negli spot pubblicitari e nei mass media veicolano una certa tipologia di maschile e femminile di idea di sé e quindi di comportamento. Le immagini pubblicitarie sono state studiate per capire che tipologia di donna e di uomo esse spingano a rappresentare. Ad esempio, in Italia emerge (dal rapporto sulla violenza di genere di Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’ONU) che “nel 2006 il 53% delle donne comparse in TV era muta, (cioè non gli era richiesto di parlare); il 46% associata a temi inerenti il sesso, la moda e la bellezza; solo il 2% a temi sociali e professionali”.
Inoltre osservando gli annunci pubblicitari, che ritraggono figure femminili, si rileva una ricorrente tipologia di espressioni del volto che suggeriscono disponibilità ad un rapporto sessuale. Non è di per sé elemento negativo, ma non c’è parità di messaggio in quanto la pubblicità ci racconta che le donne sono sessualmente molto più disponibili degli uomini. D’altra partre è questo l’immaginario che il soggetto maschile ha costruito in se stesso della donna.
Sono più presenti “Le grechine”, ossia la bellezza femminile utilizzata in modo esclusivamente decorativo, rispetto alle figure maschili (20% a differenza del 3%). Inoltre vengono utilizzate le immagini di donne “manichino”, ma questo non succede per quanto riguarda gli uomini. Così come vengono spesso rappresentate le donne “emotive”, ma ciò non accade per gli uomini.
Insomma le immagini esterne, che come abbiamo detto sono molto influenti nella nostra psiche, attualmente non sembrano aiutare lo sviluppo di una personalità equilibrata e in sintonia con le conquiste sociali degli ultimi anni. Risulta quindi, a mio parere, proteggere da questo tipo di messaggi le nuove generazioni e aggiungere, al momento opportuno, spunti riflessivi e di critica verso alcuni modelli di femminile e di maschile che non possono in alcun modo definire la complessità dell’essere umano e la differenza di genere.