BY: Renato Barbruni
La rosa purpurea del Cairo
di Woody Allen
La protagonista si muove tra le diverse proiezioni del suo maschile:
il marito: goffo, violento, fannullone e incapace di alcun rapporto con la sua compagna quindi col femminile, incarna la non curanza e la colpevole indolenza nel rapporto con la vita;
il personaggio del film: gentile e delicato, ma etereo, ingenuo fino alla incapacità di cogliere i veri bisogni della vita;
l’attore: persegue l’unica morale nel salvare la sua carriere di attore neanche molto apprezzato, e incapace di credere in se stesso.
Sono tre modalità maschili che la donna porta dentro di sé e che le conferiscono quella incapacità di orientarsi in modo concreto nella sua esistenza. La protagonista invece di affidarsi al suo sogno d’amore, che rappresenta l’intuizione sul senso della vita, preferisce colpevolmente rimanere li dove si trova a svolgere il solito rito: “entrare in un cinema e affidare ai personaggi lo svolgimento della trama esistenziale”. Metafora del cinema come fuga dalla realtà della vita.E’ il netto contrario dell’esperienza catartica dove la rappresentazione scenica è l’occasione per riflettere su se stessi. Un uso diverso del cinema, più consumistico ed edonistico, è proprio quello del demandare al personaggio cinematografico il compito di vivere per lo spettatore le singole esperienze, che rinuncia ad affrontare nel corso della sua vita reale.