BY: Renato Barbruni
Luci d’inverno
di Ingmar Bergman
tratto dal libro “Logos e Pathos” di Renato Barbruni, Ed. Nuovi Autori
Il protagonista è un pastore protestante colto in un momento drammatico della sua vita all’indomani della morte dell’amatissima moglie. Dalla sua stessa voce apprendiamo quanto la donna fosse vitale per lui. Tutta la realtà passava attraverso di lei. La fede stessa ne era sostenuta e colorata. La perdita della donna ha provocato nell’uomo la morte del senso della vita. Un senso quindi mai sperimentato direttamente, ma sempre intravisto negli occhi di lei. L’uomo è perduto, orfano, reduce e perfino errabondo senza il sostegno amoroso di lei; egli non sopporta più l’assenza, il silenzio di Dio: un Dio che non riesce a comprendere.Emblematico il suicidio dell’uomo che in precedenze, spinto dalla propria moglie si era rivolto a lui per un aiuto. La scena del ritrovamento del corpo si svolge a margine di un fiume che nel film è reso particolarmente rumoroso. La scena non è accompagnata dalla musica,ma dal rumore. IL fiume è uno dei simboli della vita che scorre. Quindi la vita non è un discorso, ma rumore insensato alle orecchie del pastore ormai in balia della disperazione. Egli è in preda alla catastrofe della sua anima incapace di sollevarsi sopra la sua desolazione. Il regista ci mostra un paesaggio freddo, tratteggiato dalle varie sfumature del bianco,quasi a voler suggerire che la realtà sta scolorando davanti ai nostri occhi, che poi sono gli occhi del protagonista. Altri segni della desolazione spirituali del pastore li troviamo nella chiesa semivuota.E’ un simbolo e una rappresentazione della mancanza nella sua anima di presenze che vivono al cospetto di Dio, poiché quando parla di Dio non ha più proseliti, non ha più credibilità essendosi spezzato il legame con il senso dell’assoluto. La realtà interiore impoverita e svuotata,nella quale ancora egli recita la parte del pastore, è senza gregge. Se l’anima si svuota dei propri aneliti, inaridisce e diviene un simula crosterile. Il film non è solo il dramma di un pastore, un religioso, è la metafora di tutti colore che si trovano di fronte ad un mutamento nel loro universo d’amore: la scomparsa della persona cara, nella quale si ripone il senso stesso della vita. La morte di una tale presenza è come un cataclisma che dissolve nel nulla quelle che fino a poco tempo prima ci apparivano come certezze. L’esperienza della solitudine pervade così profondamente l’essere da far dubitare di qualunque cosa: “Dio mio perché mi hai abbandonato?” è la domanda drammatica che ciascuno di noi, ad un certo punto della sua vita, ha pronunciato più o meno consapevolmente quando il silenzio di Dio, l’incomprensibilità di Dio,dell’esistere, ci appare come un macigno che ci schiaccia l’anima. La tentazione del nulla è così resa più forte. Una attrazione e una seduzione verso la morte dello spirito ci pervade a tale punto che sembra invincibile. Il protagonista del film si ritira dal mondo, rinuncia a comprendere il giovane che va a chiedere aiuto, e da lui è respinto col ripiegamento su se stesso, poiché è ancora il proprio personale dramma che rimane l’interlocutore primo della sua anima. Successivamente, un altro rifiuto della vita è quando respinge l’amore della donna.
Il film non si conclude, lascia aperto l’interrogativo sul senso della vita e del dolore. La frase finale: “Beato colui che viene nel nome del Signore” rimanda ad un senso tutto personale, che il protagonista,certamente l’autore stesso, non sente di aver raggiunto. Egli ne parla,ma forse non riesce a sentirlo. E’ questa la tragicità dell’essere uomo, in contrasto con l’esperienza di quella creature così vicina a Dio che è la donna. Ella porta avanti la vita, coraggiosa e fiera se pur dolente. Le due donne del film, la maestra che lo ama in silenzio, e la vedova incinta del suicida che con coraggio non dispera ma annuncia la morte del padre ai suoi figli, rappresentano la vita come discorso e continuità oltre la frattura del dolore. E’ la donna che vive e agisce quel “Beato colui che viene nel nome del signore” anche se colui che viene annuncia la morte della persona cara.
In tutti i film di Bergman la donna è sapientemente descritta come una creatura lontana, che vive in una logica che l’uomo stenta a comprendere. Nei suoi film l’anima dell’uomo è colta nell’oscurità.